domenica, aprile 04, 2021

Lettera al Garante per l'infanzia e l'adolescenza contro la DaD

 «Colui che apre la porta di una scuola, chiude una prigione»

Victor Hugo



Gentilissima Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza,

questa vuole essere una risposta alla lettera che in data 26 marzo 2021 è stata da lei inviata al Ministro dell’Istruzione prof. Patrizio Bianchi, in merito alla situazione particolarmente difficile che i bambini, le bambine e i giovani tutti, stanno attraversando a causa delle limitazioni educative e di socializzazione imposte.

Nella suddetta lettera sono contenute alcune richieste che non ci sembra possano essere inquadrate in raccomandazioni idonee a un prioritario e fondamentale ritorno alla normalità in ambito scolastico, e che anzi possano essere in qualche modo connesse a dei rischi che cercheremo di farLe presente di seguito. 

Le poniamo le nostre riflessioni, partendo da una citazione di Victor Hugo, che riprende il concetto di scuola come strumento di costruzione della dignità dell’uomo e come mezzo che ne garantisce la formazione a tutto tondo; dal punto di vista fisico, mentale, spirituale, emotivo e relazionale. Bambini e ragazzi non sono solo fruitori passivi dei servizi educativi, ma a scuola costruiscono il futuro individuale e collettivo, anche attraverso la conoscenza e la relazione con i pari; domani saranno proprio coloro che andranno a costituire il futuro di questo paese e del mondo intero, portando avanti ciò che noi adulti oggi lasciamo loro.

Questa pandemia ha colto certamente i più impreparati, ha fatto riscoprire a tutti noi quanto si possa essere fragili di fronte alla natura e in qualche misura, nella furia del benessere a cui eravamo abituati, ha riportato nel dibattito sociale la paura della morte, paura che era stata ampiamente sepolta e dimenticata. La morte è misura della vita di ognuno di noi. Questo nuovo clima culturale ha però esacerbato enormemente le reazioni alla normale fragilità del vivere. Siamo ora in una emergenza a lungo termine, con limitazioni a libertà costituzionali che a tutt’oggi risultano ancora sospese. Limitazioni costituzionali che riguardano, per esempio, la scuola e tutte le istituzioni educative in genere. È un fatto che nessun altro paese europeo abbia chiuso le scuole tanto quanto l’Italia.

Tutte le istituzioni educative hanno subito nel corso di questo anno difficile periodi di chiusura, in alcuni casi molto lunghi. È certamente il caso delle scuole secondarie di secondo grado, che hanno visto i ragazzi più grandi maggiormente penalizzati rispetto ai bambini più piccoli. In alcune regioni anche le scuole di grado inferiore hanno visto riaperture davvero molto limitate; è il caso della Puglia o, ancora maggiormente, della Campania. La risposta dello Stato a questa emergenza è stata la DaD (Didattica a Distanza) trasformata successivamente in DDI (Didattica Digitale Integrata). È stato scelto cioè l’uso di un mezzo di comunicazione digitale a distanza che potesse permettere di continuare in qualche modo il contatto coi bambini e le famiglie, e parzialmente supportare l’azione educativa e formativa che la scuola compie nei confronti dei suoi piccoli e grandi fruitori. 

Per farLe presente solamente qualche numero relativo a questo ultimo periodo e ai giorni di effettiva presenza a scuola dei nostri bambini e ragazzi, Le segnaliamo che nel periodo tra settembre 2020 e febbraio 2021, su 8 capoluoghi italiani le differenze sono state tante e particolarmente accentuate, tra le regioni del Sud e quelle del Nord, con forti discrepanze di opportunità educative. A Bari i giorni di presenza si sono attestati appena a 48, rispetto ai 107 previsti, quindi nemmeno la metà dei giorni disponibili, mentre a Milano i giorni effettivi in presenza si attestano al totale della disponibilità: ben 112. Il rapporto che le citiamo di “Save the Children” scende ulteriormente nel dettaglio e stima che i giorni in presenza persi per ciascun bambino dall’inizio della epidemia siano stati ben 74, più di un terzo dell’anno scolastico complessivo (che deve essere minimo 200 giorni - cfr. D.lgs. 297/94 art. 74/3). Monetizzati rappresentano un valore di circa 112 miliardi di euro di giorni d’istruzione persi per sempre. “Save the Children” nel suo rapporto sottolinea la grave situazione che stiamo affrontando ed evidenzia giustamente gli effetti delle perdite educative sugli apprendimenti dei bambini e dei ragazzi. Questa situazione protratta per lungo tempo rischia sicuramente di aggravare le disuguaglianze già esistenti, soprattutto delle fasce sociali più fragili, le quali non hanno infatti né gli strumenti tecnologici né i mezzi economici per procurarseli, e nemmeno la conoscenza culturale che possa permettere loro, almeno minimamente, di poter compensare in qualche modo la discrepanza di possibilità. Se riprendiamo la citazione iniziale è facile comprendere che sono proprio i più fragili ed economicamente svantaggiati a rischiare di pagare il prezzo maggiore: abbandono scolastico, devianza, criminalità.

“Save the Children” riporta inoltre la stima economica della perdita di apprendimenti, compiuta dall’OSCE e dalla Banca Mondiale: mediamente ogni paese ha subito un -1,5% di perdita del PIL, perdita che dovranno pagare proprio le generazioni future, cioè proprio i bambini e le bambine che oggi devono rinunciare alla scuola in presenza, fruendo invece di qualcosa, la DaD, che seppur con buone intenzioni non può assolutamente sostituire la scuola in presenza, fatta di relazione, dialogo e confronto.

Vorremmo inoltre evidenziarLe che alcune regioni del Sud hanno attivato forme di scuola “su richiesta” dove le famiglie si assumono la responsabilità di mandare i propri figli a scuola e accettano il rischio di un eventuale contagio. A nostro parere, tali modalità aprono formalmente la strada a una fruizione della scuola al pari di una scelta di un qualsiasi bene acquistabile, come se la scuola costituzionalmente garantita a tutti fosse semplicemente una scelta consumistica e non un ente di formazione e costruzione della personalità. 

Non crede che ciò possa minare la coesione sociale e possa costituire un pericoloso precedente? Non vede insieme a noi il concreto pericolo che una tale modalità possa ampliare le disuguaglianze educative all’interno del paese, con condizioni di partenza profondamente diverse?

Il rapporto di “Save the Children” si dilunga anche nella valutazione della possibilità di azioni concrete per consentire l’uguaglianza tecnologica delle classi sociali maggiormente svantaggiate, proponendo di fornire loro gli strumenti tecnologici necessari a ridurre tale divario di opportunità educativa. Nel far ciò, però, non si tiene comunque in sufficiente considerazione che occorre conoscere la tecnologia per poterla utilizzare efficacemente. Occorre cioè essere in grado di padroneggiare sufficientemente il linguaggio tecnologico, cosa che non si risolve fornendo semplicemente uno strumento. Oltre a questo, non si tiene in dovuta considerazione nemmeno il fatto che la DaD, nonostante la buona volontà dei docenti, non può in alcun modo veicolare gli stessi apprendimenti e neanche sopperire alla mancanza di relazioni di cui l’animo umano necessita soprattutto in età evolutiva.

Dal punto di vista degli apprendimenti è noto che in generale l'uso della tecnologia nella didattica non favorisca un livello di apprendimento migliore. Da diverse ricerche infatti emerge che laddove ci sia un uso maggiore di strumenti tecnologici, l’apprendimento ne risente negativamente. Ormai sono numerose e convergenti le ricerche sulle prove che i vantaggi della tecnologia digitale a scuola sono maggiori laddove se ne faccia un uso moderato, cioè generalmente inferiore a quanto comunemente ritenuto dagli “esperti” che in questi ultimi anni hanno sospinto enormemente l’introduzione della tecnologia nella scuola. 

Questo è dovuto prevalentemente alla nostra natura di specie con cognizione incarnata, di specie animale che ha necessità di costruire i circuiti neuronali attraverso l’esperienza concreta, manuale e fisica, in relazione al corpo, alle mani e all’ambiente circostante. Tali aspetti sono totalmente assenti in un contesto "virtuale" come quello della comunicazione telematica che predilige l’uso di un ridotto numero di gesti che, di fatto, non agevolano lo sviluppo delle abilità motorie fini, così fondamentali per lo sviluppo cognitivo. 

Molte ricerche europee sulla DaD hanno stabilito con pochi dubbi che la perdita di apprendimenti nei periodi di chiusura della scuola ha determinato carenze tra il 30% e il 50% delle abilità che si sarebbero dovute acquisire, mostrando di fatto che i bambini apprendono in DaD praticamente poco o nulla, e che ancora una volta quelle carenze vanno a pesare maggiormente sulle categorie più svantaggiate. Non si tratta solamente di mancanza di connessione o di dispositivi tecnologici, come da lei citato, o di particolari situazioni di svantaggio socio-economico; la dimensione tecnologica non può apportare lo stesso apprendimento che nasce dalle esperienze concrete e dalla relazione con gli educatori e coi pari. 

La DaD infatti oltre a risultare particolarmente inadatta ai bambini più piccoli, i quali a causa dell'età hanno maggiore necessità di relazione con l’insegnante e con i pari, è comunque, anche per gli adolescenti e gli adulti, solo un surrogato di bassa qualità della scuola in presenza. I bambini hanno estremo bisogno del confronto con i compagni per costruire tutte le competenze emotive, relazionali e sociali tipiche della socializzazione secondaria, parte complementare e irrinunciabile della socializzazione primaria fornita dalla famiglia.

La socializzazione secondaria offerta dalle occasioni educative e dalla scuola è parte del processo di formazione cognitiva dell’individuo; va cioè a costruire, nei bambini come negli adulti, le connessioni sinaptiche della corteccia cerebrale per svolgere la funzione primaria del pensiero, base sulla quale andranno poi a costruirsi tutti gli apprendimenti, come pure la maggiore o minore capacità di adattamento all’ambiente. Tali occasioni di socializzazione non possono essere sostituite da relazioni attraverso l’uso di device. 

Molti degli apprendimenti veicolati nei primi anni di vita e soprattutto nei primissimi momenti di accesso alla scuola risultano di fatto non esperibili attraverso la DaD. Possono nel migliore dei casi essere impartiti dai genitori, se questi sono in grado ed hanno la possibilità di sostituirsi agli insegnanti. Ma in molti casi gli adulti hanno un lavoro che non può essere svolto in smart working o devono gestire le diversissime esigenze di figli di età diverse. Siamo di fronte ad un’ulteriore fonte di disuguaglianza tra chi svolge determinati lavori intellettuali (che con maggiore probabilità possono essere svolti a distanza) e chi invece non ha la possibilità di poter lavorare da casa e non può quindi controllare e gestire i propri figli incollati ad uno schermo.

Possiamo ulteriormente estendere la nostra riflessione sulla tecnologia a scuola collegandola all’aumento dei disturbi evolutivi di questi anni; numerose ricerche condotte su bambini e adolescenti hanno messo in luce i rischi di sviluppare sintomi relativi ai disturbi dell’attenzione, del linguaggio e in generale dell'apprendimento in una percentuale più elevata nei soggetti facenti uso di dispositivi digitali per parecchie ore al giorno. Vorremmo mettere in luce i probabilissimi rapporti di causa ed effetto tra l’uso pervasivo di strumenti digitali e l’erosione delle abilità motorie indispensabili per l’acquisizione del linguaggio scritto e parlato; abilità che sono anche alla base di tutti gli altri apprendimenti superiori.

In ultimo, ma non per ultimo, Le segnaliamo anche il rischio di dipendenza dall’uso della tecnologia; recentemente inquadrata come vera e propria patologia che unita agli ulteriori rischi conseguenti a uno stile di vita sedentario può causare molto spesso sovrappeso e obesità, ed altri disturbi mentali non meno gravi. Le facciamo presente ulteriormente che stanno emergendo dati preoccupanti anche per quanto riguarda gli aspetti collegati agli abusi su minori in relazione all’uso dei social media e del web: adescamenti di minori, pedopornografia, sopra a tutti. Le statistiche che stanno emergendo anche in relazione a questo fenomeno, dovrebbero richiamare l’attenzione di tutte le istituzioni e dei decisori politici. 

In questa situazione emergenziale l’amministrazione statale e locale ha scelto di fornire quindi un’unica risposta, che è collegata ai concreti rischi prima citati. 

Per completare il quadro, Le forniamo qualche dato relativo al tempo in cui i nostri figli e studenti devono rimanere collegati con strumenti che possono costituire rischi maggiori di quello per loro rappresentato da un’infezione di SARS-CoV-2. 

Abbiamo bambini del nido e della scuola dell’infanzia occupati con collegamenti telematici definiti “legami a distanza” o, con l’immancabile neologismo, “lead” (legami educativi a distanza) a un’età che risulta particolarmente critica per la loro crescita: ci risulta difficile pensare che questa modalità possa essere un mezzo definibile come “legame”. La parola “legame” richiama un filo, qualcosa cioè che lega qualcuno a qualcun altro tramite un elemento fisico e intimo, fatto di cura, pelle, carezze, coccole e abbracci. Vogliamo far finta che ciò possa essere solo lontanamente sostituibile con un collegamento telematico? Semplicemente: non lo è. 

Possiamo forse fingere, ma così si agevola nei più piccoli l’accesso precoce a tecnologie digitali che dovrebbero essere di esclusivo uso degli adulti, facendo percepire come normale qualcosa che normale a questa età non è. 

Abbiamo bambini delle prime classi della primaria che raggiungono anche 20 ore settimanali di esposizione agli schermi: molto spesso risulta praticamente impossibile porre la dovuta e doverosa attenzione verso tutti gli aspetti dei primissimi apprendimenti che saranno poi le fondamenta di tutti gli apprendimenti successivi. 

Abbiamo preadolescenti e adolescenti rinchiusi nelle proprie camere, ai quali è stata tolta qualsiasi socializzazione e che rimangono collegati a strumenti tecnologici in via permanente, per ore e ore. Sono giovani sempre più chiusi e sempre più lontani da una normale esperienza sociale coi compagni e con gli insegnanti di riferimento. Ci chiediamo se i decisori politici abbiano ragionato su tutti questi aspetti e se, nelle loro riflessioni, sia stato per caso incluso un piano d’azione che preveda costi e benefici in relazione ai bisogni dei più piccoli e dei giovani. Ce lo chiediamo da un anno senza trovare risposte.

Ci chiediamo inoltre, invitandola ad analoga riflessione, se negli atti legislativi e regolamentari del governo e delle amministrazioni locali, sia stata presa in considerazione qualche misura diversa dal mero distanziamento e dalla frapposizione di barriere, poiché crediamo fondamentalmente che quel bene comune che sono i nostri bambini e i nostri ragazzi, meritino di più, esattamente come merita di più la scuola.

Dal punto di vista degli investimenti, poco o nulla è stato fatto in oltre un anno dall’inizio dell’emergenza. 

I trasporti dedicati agli studenti sono rimasti sostanzialmente invariati anche con l’inizio del nuovo anno scolastico e fino al momento in cui sono esplose le giuste proteste e polemiche, che tutti noi abbiamo letto sui giornali. Il trasporto, però, era ed è uno dei nodi cruciali e di possibile criticità.

Le cosiddette “classi pollaio” sono rimaste esattamente invariate nei numeri; ancora dopo un anno si autorizzano classi costituite dagli stessi numeri pre-pandemia. 

Dal punto di vista delle strutture, al di là dei proclami e delle promesse, nulla o quasi è stato messo in campo per fornire spazi aggiuntivi, anche solamente temporanei. Si è deciso solo di distanziare i bambini e i ragazzi in spazi esattamente uguali ponendo regole a volte persino incoerenti e totalmente irrazionali.

Si è pensato, in sostanza, solo ad allontanare i bambini ed i ragazzi tra loro. Nulla è stato fatto invece per fornire soluzioni diverse, che avrebbero dimostrato un maggiore interesse del Parlamento e del Governo nei riguardi della scuola e dell’importanza costituzionale e sociale che essa riveste, o che dovrebbe rivestire. Ulteriore prova di ciò è la sproporzione tra gli investimenti di natura tecnologica e quelli che avremmo voluto vedere per garantire ai nostri giovani e giovanissimi la possibilità di frequentare la scuola ogni giorno.

Ci faccia aggiungere che siamo preoccupati dall’aumento degli atti di autolesionismo e dei disturbi alimentari (aumentati del 30%), oltreché dall’aumento dei tentati suicidi da parte dei giovani e dei giovanissimi. Si tratta di dati pubblici denunciati in più occasioni e che hanno portato all’attenzione di tutti noi una situazione spaventosa, che dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia a cuore le nuove generazioni. 

Si è assistito ad esempio da ottobre 2020 a un aumento del 30% dei ricoveri in neuropsichiatria. Solo all’ospedale Bambin Gesù di Roma dai 12 ricoveri del 2011 siamo passati a 300 ricoveri nel 2020. Sono situazioni certamente associate al periodo pandemico attuale e all’isolamento sociale che i giovani e i giovanissimi stanno subendo, oltre all’aumento costante di ansia, fobia sociale, irritabilità, disturbi del sonno e depressione. Sono problemi collegati alle misure prese per la pandemia e all’azzeramento totale delle occasioni di aggregazione per i più giovani. 

Vorremmo porre una riflessione ulteriore sul contagio in ambito scolastico, di cui si è tanto parlato sulle testate giornalistiche e in ambito politico, ma che numerosi studi condotti sia negli altri paesi europei, sia nel nostro paese, hanno mostrato essere sostanzialmente limitato e in misura minore rispetto ai contagi che avvengono in ambito lavorativo, rendendo piuttosto evidente che la scuola non è tra i principali luoghi di diffusione dell’epidemia.

Da un ampio studio europeo è emerso che i danni derivanti dalla chiusura delle scuole sono enormemente maggiori rispetto al rischio che esse fungano da amplificatori della curva epidemica; analizzando le curve stesse si può notare facilmente l’assenza di una relazione diretta dei picchi epidemici con l’apertura o meno della scuola. Per molti mesi i numeri dei contagi si sono attestati simili, sia in realtà locali con le scuole aperte fino al primo ciclo sia in altre realtà con le scuole di ogni ordine e grado chiuse. Un recente studio di comparazione dei dati forniti da ISS (Istituto Superiore di Sanità), dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale), dalle ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e dalla Protezione Civile, e comprendenti i dati di 7,3 milioni di studenti (ovvero un campione che raccoglie il 97% delle scuole italiane), mostra in modo inequivocabile che le lezioni in presenza non sono correlate all’aumento dei contagi avvenuto nel mese di ottobre 2020 e che dei tamponi risultati positivi nello stesso periodo ne sarebbe riconducibile a contesti scolastici solo uno scarso 1%. La curva epidemica, inoltre, pare innalzarsi indipendentemente dall’inizio della scuola, senza alcuna relazione diretta e con una progressione differente, per esempio, a Roma rispetto a Napoli, nonostante che nella capitale la scuola sia iniziata ben dieci giorni prima rispetto al capoluogo campano. Ciò è avvenuto nonostante il dilagare della famigerata variante inglese, la quale, nonostante quello che viene diffuso dai media, non risulta in alcun modo più aggressiva del virus di Wuhan e, analogamente, colpisce i giovani e i bambini con una frequenza minore del 50% rispetto agli adulti

Ci chiediamo quindi per quale ragione si continui, esattamente come un anno fa, all’unica soluzione della chiusura della scuola di fronte a simili dati, nonostante quel che oramai si riconosce. A tal proposito vorremmo farLe presente anche, la recente sentenza del Tar Lazio (recentemente confermata dal Consiglio di Stato), nella quale è stato stabilito che i futuri provvedimenti del governo dovranno tenere conto delle nuove evidenze scientifiche. Le ricerche scientifiche prodotte da più parti giungono alla conclusione che non esistono di fatto dati solidi e incontrovertibili che il contagio avvenuto in classe influisca sull’andamento generale della curva e che le infezioni riscontrate in ambito scolastico siano legate in qualche modo all’apertura delle scuola.

Ci chiediamo come si possa ancora gridare all’emergenza dopo 365 giorni abbondanti, contati dall’inizio dell’epidemia; giorni, tempo e conoscenze che avrebbero dovuto invece concorrere all’attuazione di misure per la garanzia del proseguimento delle ordinarie attività scolastiche. 

Ci chiediamo oltremodo come mai nella crescita della curva epidemica intercorsa tra ottobre e novembre la scuola fosse stata garantita almeno fino al primo ciclo, anche se in talune regioni vigeva la “zona rossa”, con un numero di contagi doppio e un numero di morti triplo rispetto ai numeri odierni, mentre dall’inizio di marzo sia stata decisa la chiusura totale di ogni attività in presenza, mettendo in difficoltà ulteriore i bambini e i giovani già provati dal lungo lockdown della scorsa primavera, e mettendo in difficoltà ulteriore le donne lavoratrici. In merito Le segnaliamo che la stragrande maggioranza dei lavoratori disoccupati dopo il primo lockdown sono donne, con una diminuzione degli occupati che si attesta a 99.000 unità. Questo dato è possibile riscontrarlo anche nel report di Istat relativo all’intero anno: dei 444.000 occupati in meno, il 70% è donna. La chiusura della scuola quindi, non solo va ad incidere su chi ne usufruisce, ma anche sulle fasce sociali femminili che maggiormente sono dedite alla cura dei minori. 

Sono domande che ci poniamo e alle quali troviamo risposte con grande difficoltà. Sono riflessioni “ad alta voce” che vogliamo far giungere a Lei, garante dei bambini e dei giovani, ai nostri occhi grandi assenti dal dibattito politico di questo periodo: essi sono alternativamente ignorati e accusati di irresponsabilità, ovvero tacciati di volersi divertire in dispregio della morte. Sono colpevolizzati per la voglia di vivere connaturata alla loro età; sono accusati quali untori pericolosi, da ogni parte e anche da “eminenti” scienziati, frequenti ospiti dei salotti televisivi. È questa una campagna mediatica a tratti vergognosa contro giovani, bambini e bambine, ai quali è stato tolto tutto; che hanno subito la sostituzione della scuola con uno schermo e l’eliminazione dello sport e dei giochi nei parchi, come se giocare sia un’altra colpa inammissibile. Sono stati privati dei pari, degli abbracci e anche del confronto con gli adulti. Sì, perché sembra proprio che sia in atto una vera e propria ondata anti-infanzia: l’interesse per le nuove generazioni ha toccato voragini inesplorate e abissi profondi; molto spesso durante questo anno è stato riservato loro un infinitesimale nulla. Mai esperti di infanzia e di bambini, pedagogisti ed educatori, sono stati convocati in alcuna commissione consultiva (con l’eccezione di una docente/psicologa nel CTS) e non hanno fatto parte di quel gruppo di esperti chiamati a decidere, tanto incautamente, delle sorti dell’infanzia e dell’adolescenza. I danni sono già incalcolabili. È giunto il momento di tutelare quei bambini, quelle bambine e quei giovani, poiché proprio loro sono il nostro FUTURO. 

Le chiediamo con questa lettera di valutare questa nostra richiesta di protezione dei più giovani, i quali non hanno avuto, in questo anno terribile, alcuna rappresentanza dei loro disagi e dei loro bisogni.

Poniamo alla Sua attenzione alcuni presupposti per noi imprescindibili della protezione dei più piccoli: 

  • apertura delle scuole di ogni ordine e grado, anche delle scuole secondarie di secondo grado, che sono state quelle maggiormente penalizzate, e delle università a prescindere dal colore deciso dal meccanismo automatico dei dati rilevati: i giovani hanno pagato abbastanza;
  • ingenti investimenti strutturali per garantire al più presto la scuola in presenza a tutti i nostri ragazzi; la scuola è un bene sociale da difendere ed è una funzione costituzionale imprescindibile: non è accettabile un “ove possibile” come da Lei citato nella lettera inviata al ministro dell’Istruzione
  • sorveglianza sui rischi connessi alla tecnologia e al protrarsi della DaD come strumento educativo permanente, imposto inizialmente con il pretesto della pandemia, ma proposto per il futuro oltre la pandemia, come da dichiarazioni recenti del Ministro dell’Istruzione Bianchi: non si può pensare che la scuola sia sostituibile da videolezioni, schermi digitali e distanza, neanche parzialmente;
  • preoccupazione per l’ipotesi e la richiesta di riapertura scolastica con tamponi settimanali ai giovani e agli addetti della scuola: non si può pensare tali proposte come concretamente fattibili, sensate e quantomeno gestibili, oltreché essere enormemente invasive e a lungo termine dannose; si prefigurerebbero inoltre fenomeni di discriminazione e di violazione della riservatezza degli studenti coinvolti nel trattamento sanitario, anche se venissero utilizzati tamponi salivari come richiesto nella Sua lettera al ministro dell’Istruzione. 

La ringraziamo del tempo che ha dedicato alla lettura di questa lettera, scritta con l’unico scopo di proteggere la scuola e i giovani tutti. 

Cordialmente.

Comitato di genitori e insegnanti "Scuola È in Presenza!", 
aderente a Rete Nazionale Scuole in Presenza.