lunedì, novembre 15, 2021

Come la Svezia ha evitato il disastro del CoViD

 

Traduzione, screenshot e grassetti miei.

Articolo originale dell'8 novembre 2021 qui: https://unherd.com/2021/11/how-sweden-swerved-covid-disaster/


Come la Svezia ha evitato il disastro del CoViD

Il bilancio delle vittime qui è inferiore rispetto alle nazioni con restrizioni draconiane

Cento anni fa, a New York, 20.000 persone hanno marciato lungo la Quinta Strada per protestare contro uno dei più grandi esperimenti di politica sanitaria della storia. Uno di loro indossava un cartello con l'immagine dell'"Ultima Cena" di Leonardo da Vinci, accanto allo slogan "Il vino è servito". C'erano cartelli di George Washington, Thomas Jefferson e Abramo Lincoln. Un altro diceva: “La tirannia in nome della virtù è la peggiore di tutte le tirannie”.

Per un anno, birra, vino e liquori furono illegali in tutti gli Stati Uniti. Dal punto di vista della salute pubblica sembrava una misura abbastanza ragionevole. Che l'alcol fosse una sostanza pericolosa era chiaro: malattie, violenza, povertà e criminalità erano intimamente legate ad esso. Anche adesso, nonostante il suo fallimento, è conosciuto come il “nobile esperimento”. Ma era giusto impedire alle persone di fare bevande che non solo piacevano, ma che servivano anche a importanti scopi culturali e religiosi? Non per la prima volta né per l'ultima, gli americani si trovarono divisi sul giusto bilanciamento tra libertà e sicurezza.

Fino a poco tempo fa il proibizionismo rimaneva il più grande esperimento di ingegneria sociale che una democrazia avesse mai intrapreso. E poi, all'inizio del 2020, un nuovo virus ha iniziato a diffondersi dalla Cina. Di fronte a questa minaccia, i governi del mondo hanno risposto chiudendo le scuole, vietando alle persone di incontrarsi, costringendo gli imprenditori a chiudere le proprie attività e costringendo la gente comune a indossare mascherine. Come il proibizionismo, questo esperimento ha provocato un dibattito. In tutte le democrazie del mondo si soppesava la libertà con ciò che era percepito come sicurezza; diritti individuali rispetto a ciò che era considerato migliore per la salute pubblica.

Pochi ora ricordano che per gran parte del 2020 la parola "esperimento" ha avuto connotazioni negative. Ma è ciò che gli svedesi sono stati accusati di condurre quando noi [svedesi], a differenza del resto del mondo, abbiamo mantenuto una parvenza di normalità. I cittadini di questo paese generalmente non hanno dovuto indossare maschere per il viso; i bambini piccoli hanno continuato ad andare a scuola; le attività del tempo libero hanno potuto in gran parte continuare senza ostacoli.

Questo esperimento è stato giudicato all'inizio come "un disastro" (Time magazine), un "racconto ammonitore per il mondo" (New York Times), "una follia mortale" (The Guardian). In Germania, la rivista Focus ha descritto la politica [svedese] come "negligente"; in Italia La Repubblica ha concluso che "il paese scandinavo modello” aveva fatto un errore pericoloso. Ma anche questi paesi - tutti i paesi - stavano conducendo un esperimento, in quanto stavano testando misure senza precedenti per prevenire la diffusione di un virus. La Svezia ha semplicemente scelto una strada, il resto dell'Europa un'altra.


L'ipotesi del resto del mondo era che la libertà della Svezia ci sarebbe costata cara. L'assenza di restrizioni, le scuole aperte, l'affidarsi alle raccomandazioni invece che agli obblighi e alle forze dell'ordine avrebbe comportato un numero di morti più elevato rispetto agli altri paesi. Nel frattempo, la mancanza di libertà sopportata dai cittadini degli altri paesi avrebbe "salvato vite".

Molti svedesi furono persuasi da questa ipotesi. “Lockdown in Svezia per proteggere il Paese”, ha scritto Peter Wolodarski, forse il giornalista più autorevole del Paese. Rinomati esperti di malattie infettive, microbiologi ed epidemiologi di tutto il paese hanno avvertito delle conseguenze della politica del governo. I ricercatori dell'Università di Uppsala, del Karolinska Institute e del Royal Institute of Technology di Stoccolma hanno costruito un modello grazie a dei supercomputer che prevedeva la morte di 96.000 svedesi prima dell'estate del 2020.

In quella fase non fu irragionevole concludere che la Svezia avrebbe pagato un caro prezzo per la sua libertà. Per tutta la primavera del 2020 il bilancio delle vittime pro capite in Svezia fu più alto della maggior parte degli altri paesi.

Ma l'esperimento non finì lì. Durante l'anno che seguì il virus continuò a devastare il mondo e, uno dopo l'altro, il bilancio delle vittime nei paesi che erano stati in lockdown iniziò a superare quello della Svezia. Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Ungheria, Spagna, Argentina, Belgio - paesi che avevano chiuso le aree giochi nei parchi, costretto i propri figli a indossare mascherine, chiuso le scuole, multato i cittadini per essere andati in spiaggia e sorvegliato i parchi con droni - sono stati tutti colpiti peggio della Svezia. Al momento in cui scriviamo, più di 50 paesi hanno un tasso di mortalità più elevato. Se si misura l'eccesso di mortalità per tutto il 2020, la Svezia (secondo Eurostat) finirà al 21° posto su 31 paesi europei. Se la Svezia fosse una parte degli Stati Uniti, il suo tasso di mortalità sarebbe al 43° posto su 50 stati.

Questo fatto è sorprendentemente poco raccontato dai media. Consideriamo l'enorme numero di articoli e servizi televisivi dedicati all'atteggiamento stupidamente liberale della Svezia nei confronti della pandemia lo scorso anno e il riferimento quotidiano a cifre che oggi sono dimenticate. Improvvisamente è come se la Svezia non esistesse. Quando il Wall Street Journal ha recentemente pubblicato un rapporto dal Portogallo, lo ha descritto come il paese che "ha offerto uno scorcio" di come sarebbe vivere con il virus. Questa nuova normalità ha compreso, tra le altre cose, passaporti vaccinali e mascherine in occasione di grandi eventi come le partite di calcio. Da nessuna parte nell'articolo è stato menzionato che in Svezia puoi andare alle partite di calcio senza indossare una mascherina, o che la Svezia – con una percentuale minore di morti per Covid nel corso della pandemia – ha praticamente posto fine a tutte le restrizioni. La Svezia convive da tempo con il virus.

Il WSJ è tutt'altro che solo nella sua inchiesta giornalistica selettiva. Il New York Times, The Guardian, la BBC, il Times, tutti sostenitori dei lockdown, non riescono a immaginare di metterne in dubbio l'efficacia.

E anche coloro che hanno seguito l'esempio della Svezia sono stati oggetto di molte critiche. Quando lo stato della Florida – più di un anno fa e fortemente influenzato dalla Svezia – ha rimosso la maggior parte delle proprie restrizioni e ha permesso la riapertura di scuole, ristoranti e parchi ricreativi, il giudizio dei media americani è stato repentino. È stato subito previsto che il governatore repubblicano dello stato avrebbe "condotto il suo stato all'obitorio" (The New Republic). I media erano indignati per le immagini degli abitanti della Florida che nuotavano e prendevano il sole in spiaggia.

D'altra parte all'omologo di DeSantis a New York, il democratico sotto attacco Andrew Cuomo, è stato offerto un contratto per le sue "lezioni di leadership apprese dalla pandemia di Covid-19". Pochi mesi fa però è stato costretto a dimettersi dopo aver molestato una dozzina di donne. Ma il risultato della sua "lezione di leadership" continua a vivere: lo 0,29% dei residenti del suo stato è morto di Covid-19. La rispettiva cifra della Florida, lo stato che non solo ha concesso la massima libertà, ma ha anche la seconda più alta percentuale di pensionati nel paese, è dello 0,27%.

Ancora una volta un fatto poco raccontato.

Dal punto di vista umano è facile comprendere la riluttanza ad affrontare questi numeri. È difficile evitare di concludere che milioni di persone sono state private della loro libertà e milioni di bambini hanno avuto la loro istruzione gravemente danneggiata, per un guadagno poco dimostrabile. Chi vuole ammettere di essere stato complice di tutto questo? Ma quelli che un giudice americano ha chiamato i "laboratori della democrazia" hanno condotto il loro esperimento - e il risultato è sempre più chiaro.

Perché è finita in questo modo è difficile da spiegare, ma forse il "nobile esperimento" degli anni '20 negli Stati Uniti può offrire alcuni indizi. Il proibizionismo non ha vinto perché ha prevalso l'argomento della libertà. Né perché la sostanza stessa era diventata meno dannosa per la salute delle persone. Il motivo per la fine del divieto di alcol era che semplicemente non funzionava. Non importava cosa dicesse la legge, gli americani non smettevano di bere alcolici. Si erano semplicemente spostati dai bar alle rivendite clandestine di alcolici. La gente ha imparato a preparare il proprio liquore o a contrabbandarlo dal Canada. E la mafia americana ha avuto giornate intense.

L'errore commesso dalle autorità americane è stato quello di sottovalutare la complessità della società. Solo perché avevano vietato l'alcol non significava che l'alcol fosse scomparso. Le pulsioni, i desideri e i comportamenti delle persone erano impossibili da prevedere o da inserire in un piano. Cento anni dopo un nuovo insieme di governi ha commesso lo stesso errore. La chiusura delle scuole non ha impedito ai bambini di incontrarsi in altri contesti; spenta la vita nelle città, molti ne sono fuggiti, diffondendo il contagio in nuovi luoghi; le autorità hanno esortato i propri cittadini ad acquistare cibo online, senza pensare a chi avrebbe trasportato la merce da casa in casa.

Se i politici fossero stati onesti con se stessi, avrebbero potuto prevedere cosa sarebbe successo. Perché proprio come i politici americani sono stati costantemente sorpresi a bere alcolici durante il proibizionismo, i loro successori sono stati sorpresi 100 anni dopo a violare esattamente le restrizioni che avevano imposto a tutti gli altri. I sindaci di New York e Chicago, il massimo consigliere del governo britannico, il ministro della Giustizia olandese, il commissario europeo per il commercio, il governatore della California hanno tutti infranto le proprie regole.

Non è facile controllare la vita degli altri. Non è facile dettare comportamenti desiderabili in una popolazione tramite un comando centralizzato. Queste sono lezioni che molti dittatori hanno imparato. Durante la pandemia di Covid, anche molte democrazie lo hanno imparato. La lezione forse non è ancora stata completamente recepita, ma si spera che alla fine lo sarà. Allora forse passeranno altri 100 anni prima che commettessimo di nuovo lo stesso errore.

lunedì, novembre 08, 2021

Come la pandemia sta cambiando le regole della scienza

 

Come la pandemia sta cambiando le regole della scienza

Imperativi come l'esercizio del dubbio e l'imparzialità vengono rottamati per alimentare la guerra politica che non ha nulla in comune con la metodologia scientifica

DI JOHN PA IOANNIDIS

9 SETTEMBRE 2021

In passato ho spesso ardentemente desiderato che un giorno tutti fossero appassionati ed entusiasti della ricerca scientifica. Avrei dovuto essere più attento a ciò che desideravo. La crisi causata dalla letale pandemia di COVID-19 e dalle risposte alla crisi ha reso miliardi di persone in tutto il mondo estremamente interessate e sovraeccitate verso la scienza. Le decisioni prese in nome della scienza sono diventate arbitri della vita, della morte e delle libertà fondamentali. Tutto ciò che conta è stato influenzato dalla scienza, dagli scienziati che interpretano la scienza e da coloro che, all'interno del conflitto politico, impongono misure basate sulle loro interpretazioni della scienza.

Un problema di questo nuovo interesse di massa per la scienza è che la maggior parte delle persone, inclusa la maggior parte delle persone in Occidente, non ha mai seriamente familiarizzato con le regole fondamentali del metodo scientifico. Le norme mertoniane di condivisione delle conoscenze, universalismo [non conta chi sei ma cosa affermi NdT], imparzialità ed esercizio critico del dubbio, purtroppo non sono mai state dominanti nell'istruzione, nei media e nemmeno nei musei scientifici e nei documentari televisivi su argomenti scientifici.

Prima della pandemia, la condivisione gratuita e libera di dati, protocolli e scoperte era limitata, compromettendo la comunione delle conoscenze su cui si basa il metodo scientifico. Era già ampiamente permesso che la scienza non fosse universale, ma il regno di un'élite sempre più gerarchica, una minoranza di esperti. Attorno alla scienza hanno prosperato pantagruelici interessi e conflitti finanziari e di altro tipo, e la regola dell'imparzialità è stata trascurata.

Per quanto riguarda l'esercizio critico del dubbio, non ha trovato casa molto spesso all'interno dei santuari accademici. Anche le migliori riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria hanno spesso presentato i risultati sulla base di pregiudizi e propaganda. La più ampia diffusione pubblica e mediatica delle scoperte scientifiche è stata in gran parte focalizzata su ciò che poteva essere sensazionalistico riguardo alla ricerca, piuttosto che sul rigore dei suoi metodi e sull'incertezza intrinseca dei risultati

Tuttavia, nonostante la cinica consapevolezza che le norme metodologiche della scienza fossero state trascurate (o forse a causa di questa presa di coscienza), voci che lottavano per più condivisione libera delle conoscenze, universalismo, imparzialità ed esercizio critico del dubbio, si sono moltiplicate nei circoli scientifici prima della pandemia. I riformatori sono stati spesso visti come detentori di una sorta di principio morale più elevato, nonostante fossero in inferiorità numerica nell'occupare posizioni di potere. Le crisi di riproducibilità in molti campi scientifici, che vanno dalla biomedicina alla psicologia, hanno causato un esame di coscienza e sforzi per migliorare la trasparenza, inclusa la condivisione di dati grezzi, protocolli e codici. Le disuguaglianze all'interno dell'accademia sono state sempre più riconosciute con appelli a porvi rimedio. Molti erano ricettivi alle richieste di riforma.

Gli esperti dispensatori di opinioni autorevoli (pur essendo ancora dominanti nei comitati influenti, nelle società professionali, nelle principali conferenze, negli organismi di finanziamento e in altri gangli di potere del sistema) sono stati spesso sfidati da critiche basate sulle prove scientifiche. Ci sono stati sforzi per rendere i conflitti di interesse più trasparenti e per minimizzare il loro impatto, anche se la maggior parte degli scienziati più importanti è rimasta in conflitto di interessi, specialmente in medicina. Una fiorente comunità di scienziati si è concentrata su metodi rigorosi, comprendendo il pericolo dei pregiudizi e riducendo al minimo il loro impatto. Il campo della metaricerca, cioè la ricerca sulla qualità della ricerca, è diventato ampiamente rispettato. Si poteva quindi sperare che la crisi pandemica potesse favorire il cambiamento. In effetti, il cambiamento è avvenuto, ma forse per lo più in peggio.

La mancanza di condivisione libera dei dati durante la pandemia ha alimentato scandali e teorie del complotto, che sono stati poi trattati come fatti in nome della scienza da gran parte della stampa popolare e sui social media. La ritrattazione da The Lancet di un articolo di spicco sull'idrossiclorochina è stato un esempio sorprendente: la mancanza di condivisione e trasparenza ha permesso a un'importante rivista medica di pubblicare un articolo in cui 671 ospedali avrebbero fornito dati che non esistevano, e nessuno se ne è accorto prima della pubblicazione. Il New England Journal of Medicine , un'altra importante rivista medica, è riuscita a pubblicare un documento simile; molti scienziati continuano a citarlo pesantemente molto tempo dopo la sua ritrattazione.

Il dibattito scientifico pubblico più acceso del momento - se il virus COVID-19 sia il prodotto dell'evoluzione naturale o un incidente di laboratorio - avrebbe potuto essere risolto facilmente con una minima dimostrazione di comunione ("comunismo", in effetti, nel linguaggio originale di Merton) dei dati da parte della Cina: la condivisione delle registrazioni di laboratorio dell'Istituto di virologia di Wuhan avrebbe immediatamente alleviato le preoccupazioni. Senza tale condivisione su quali esperimenti siano stati fatti, le ipotesi sulla fuga dal laboratorio rimangono credibili in modo inquietante.

Personalmente non voglio considerare l'ipotesi della fuga dal laboratorio, un duro colpo per la ricerca, come la spiegazione principale. Tuttavia se la piena condivisione pubblica dei dati non può avvenire nemmeno per una questione relativa alla morte di milioni e alla sofferenza di miliardi, che speranza c'è di trasparenza scientifica e di cultura della condivisione? Qualunque siano le origini del virus, il rifiuto di attenersi alle norme precedentemente accettate ha fatto enormi danni.


La pandemia ha portato da un giorno all'altro a una nuova spaventosa forma di universalismo scientifico. Tutti si sono occupati della scienza relativa al COVID-19 o l'hanno commentata. Ad agosto 2021 sono stati pubblicati 330.000 articoli scientifici sul COVID-19, articoli che hanno coinvolto circa un milione di autori diversi. Un'analisi ha mostrato che hanno pubblicato sul  COVID-19 gli scienziati di ognuna delle 174 discipline che compongono ciò che chiamiamo scienza. Prima della fine del 2020 solo l'ingegneria automobilistica non aveva scienziati che pubblicavano sul COVID-19. All'inizio del 2021 anche gli ingegneri automobilistici hanno detto la loro.

A prima vista questa è stata una mobilitazione senza precedenti di talenti interdisciplinari. Tuttavia la maggior parte di questo lavoro era di bassa qualità, spesso errato e talvolta altamente fuorviante. Molte persone senza competenze tecniche in materia sono diventate esperte da un giorno all'altro, salvando enfaticamente il mondo. Man mano che questi esperti fasulli si moltiplicavano, gli approcci basati sulle prove, come gli studi randomizzati e la raccolta di dati più accurati e imparziali, venivano spesso respinti come inappropriati, troppo lenti e dannosi. Il disprezzo per la progettazione di ricerche affidabili è stato persino celebrato.

Molti scienziati straordinari hanno lavorato sul COVID-19. Ammiro il loro lavoro. I loro contributi ci hanno insegnato tanto. La mia gratitudine si estende ai tanti giovani ricercatori estremamente talentuosi e molto qualificati che ringiovaniscono la nostra vecchia forza lavoro scientifica. Tuttavia, accanto a migliaia di validi scienziati, sono arrivati ​​esperti appena coniati con credenziali discutibili, irrilevanti o inesistenti e dati discutibili, irrilevanti o inesistenti.

I social media e i principali mezzi di comunicazione di massa hanno contribuito a creare questa nuova generazione di esperti. Chiunque non fosse un epidemiologo o uno specialista in politiche sanitarie poteva essere improvvisamente citato come epidemiologo o specialista in politiche sanitarie da giornalisti che spesso sapevano poco di quei campi ma sapevano immediatamente quali opinioni erano vere. Al contrario, alcuni dei migliori epidemiologi e specialisti di politica sanitaria in America sono stati diffamati come incapaci e pericolosi da persone che si ritenevano idonee a decidere per tutti le differenze di opinione scientifica senza comprendere la metodologia o i dati pubblicati.

L'imparzialità ha sofferto più di ogni altro principio. In passato, le organizzazioni in conflitto di interessi cercavano principalmente di nascondere i loro obiettivi. Durante la pandemia, queste stesse organizzazioni in conflitto di interessi sono state elevate allo status di eroi. Ad esempio, le aziende Big Pharma hanno chiaramente prodotto farmaci utili, vaccini e altri interventi che hanno salvato vite umane, sebbene fosse anche risaputo che il profitto era ed è il loro motivo principale. Si sapeva che Big Tobacco uccidesse molti milioni di persone ogni anno e che ingannasse continuamente quando promuoveva i suoi prodotti vecchi e nuovi, ugualmente dannosi. Tuttavia durante la pandemia la richiesta di prove migliori sull'efficacia e sugli eventi avversi è stata spesso considerata anatema. Questo approccio sprezzante e autoritario "in difesa della scienza" potrebbe purtroppo aver aumentato l'esitazione nei confronti del vaccino e il movimento no-vax, sprecando un'opportunità unica creata dal fantastico rapido sviluppo dei vaccini COVID-19. Anche l'industria del tabacco ha migliorato la sua reputazione: Philip Morris ha donato ventilatori per promuovere la propria immagine di responsabilità sociale e salvare vite umane, una piccola parte delle quali è stata messa a rischio di morte dal COVID-19 a causa di malattie preesistenti causate dai prodotti del tabacco.

Altre organizzazioni potenzialmente in conflitto di interessi sono diventate i nuovi regolatori della società, piuttosto che quelli regolamentati. Le grandi aziende tecnologiche, che hanno guadagnato trilioni di dollari in aumento del valore azionario di mercato, a causa della trasformazione virtuale della vita umana durante il lockdown, hanno sviluppato potenti apparati di censura che hanno distorto le informazioni disponibili per gli utenti sulle loro piattaforme. Ai consulenti che hanno guadagnato milioni di dollari dalle consulenze aziendali e governative sono stati dati incarichi prestigiosi, potere ed elogi pubblici, mentre gli scienziati senza conflitti di interesse che hanno lavorato pro bono ma hanno osato mettere in discussione le narrazioni dominanti sono stati tacciati di conflitto di interesse. L'esercizio critico del dubbio è stato visto come una minaccia per la salute pubblica. C'è stato uno scontro tra due scuole di pensiero, la salute pubblica autoritaria contro la scienza, e la scienza ha perso.


Il continuo ed onesto domandarsi e l'esplorazione di sentieri alternativi sono indispensabili per una buona scienza. Nella versione autoritaria (al contrario di quella partecipativa) della salute pubblica, queste attività sono state viste come tradimento e diserzione. La narrativa dominante è diventata che "siamo in guerra". In guerra, tutti devono eseguire gli ordini. Se a un plotone viene ordinato di andare a destra e alcuni soldati esplorano le manovre a sinistra, vengono fucilati come disertori. Lo scetticismo scientifico doveva essere abbattuto, senza fare domande. Gli ordini erano chiari. 


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Traduzione, grassetti e link aggiunti a cura di Stefano Longagnani

Fonte: https://www.tabletmag.com/sections/science/articles/pandemic-science







martedì, ottobre 19, 2021

La scienza è credere nell'ignoranza degli esperti

 

«La scienza è credere nell'ignoranza degli esperti», ha affermato Richard Feynman. Feynman vinse il premio Nobel per la fisica. Fu un docente notevole: i suoi appunti delle lezioni sono ancora diffusi. Ha previsto la nanotecnologia e l'informatica quantistica. Fece parte della commissione incaricata di identificare la causa del disastro dello space shuttle Challenger. C'è un bellissimo discorso di sua figlia e ci sono molte interviste con sua sorella che è diventata lei stessa un fisico. Ho letto Feynman da giovane adulto e da allora ha plasmato la mia visione del mondo.

Permettetemi di contestualizzare la citazione di Feynman:

«La scienza sola di tutte le materie contiene in sé stessa la lezione del pericolo di credere nell'infallibilità dei più grandi maestri della generazione precedente (...) Quando qualcuno dice: "La scienza insegna così e così", sta usando la parola in modo errato. La scienza non insegna nulla; l'esperienza insegna. Se ti dicono: "La scienza ha mostrato questo e quest'altro", puoi chiedere: "Come la scienza lo mostra? Come gli scienziati hanno fatto la scoperta? In che modo? Che cosa? Dove?" Non dovrebbe essere "la scienza ha dimostrato" ma "questo esperimento, questo effetto, lo ha mostrato". E hai lo stesso diritto di chiunque altro, dopo aver sentito parlare degli esperimenti, ma sii paziente e ascolta tutte le prove, di giudicare se è stata raggiunta una conclusione sensata. (…) Gli esperti che ti stanno guidando potrebbero sbagliarsi. (…) Credo che viviamo in un'epoca non scientifica in cui quasi tutte le comunicazioni e la televisione – parole, libri e così via – non sono scientifiche. Di conseguenza, c'è una notevole quantità di tirannia intellettuale in nome della scienza.

Molte persone, comprese persone con un dottorato di ricerca e una carriera nella ricerca scientifica, non capiscono il punto di Feynman. Lascia che lo scomponga.

1. Come facciamo a sapere qualcosa? L'approccio più comune, antico, è quello di acquisire conoscenze da una figura autorevole o da un esperto. La tua insegnante, tua madre, il tuo capo. Ma questi esperti sbagliano abitualmente, spesso in modi inaspettati:

  • Ancora nel 1955, esperti e libri di testo ti dicevano che gli esseri umani hanno 24 paia di cromosomi, anche se ce ne sono sempre stati 23. Certo, può essere difficile contare i cromosomi, ma, cosa importante, il consenso si è stabilito sul valore sbagliato e ci sono voluti 30 anni perché fosse messo in dubbio.
  • Prima degli anni '60, la tettonica a zolle era spesso ridicolizzata. Meno del 20% dei geologi ha accettato l'idea della deriva dei continenti all'inizio del 1960 e Pellegrini (2019) ci dice che quasi nessuno inizialmente critico ha cambiato idea (adottando la deriva dei continenti). Abbiamo cambiato idea collettivamente perché i geologi più giovani hanno adottato la teoria della deriva dei continenti.
  • Nel 1998, il premio Nobel Paul Krugman predisse che Internet avrebbe avuto un piccolo effetto ("La crescita di Internet rallenterà drasticamente (...) Entro il 2005, diventerà chiaro che l'impatto di Internet sull'economia non è stato maggiore rispetto a quello del fax.”)
  • Heinrich Herz dichiarò che le onde radio non sarebbero state di alcuna utilità.
  • Orville Wright, che inventò letteralmente l'aereo, disse nel 1908 che “Nessun dirigibile volerà mai da New York a Parigi. Mi sembra impossibile. Ciò che limita il volo è il motore. Nessun motore conosciuto può funzionare alla velocità richiesta per quattro giorni senza fermarsi, e non puoi essere sicuro di trovare i venti giusti per volare. Il 6 luglio 1919 un dirigibile britannico attraversò l'Atlantico. Lindbergh ha attraversato l'Atlantico in aereo meno di 20 anni dopo la dichiarazione di Orville.

2. Dall'inizio dei tempi, abbiamo dato anche a questo processo di conoscenza-da-esperienza forme concrete. Nella civiltà moderna, abbiamo l'articolo sottoposto a peer review, il professore nella propria università, lo scienziato del governo in camice da laboratorio. In molti modi, queste persone svolgono lo stesso ruolo sociale dell'anziano della tribù o del sacerdote. L'articolo sottoposto a revisione paritaria è come un testo sacro.

3. Questa conoscenza preesistente e la sua trasmissione sono spesso chiamate "scienza". In un tale contesto, qualsiasi cosa può essere una scienza: scienze politiche, scienze sociali, scienze religiose e così via. Ma se la conoscenza è vera o falsa, potrebbe avere poco a che fare con la scienza. Può anche darsi che queste istituzioni che pretendono di riguardare la scienza non siano scientifiche. La caratteristica fondamentale della scienza, quella che Feynman identifica esplicitamente, è che non decidiamo se qualcosa è vero o falso in base all'autorità, ma piuttosto in base all'esperienza. Se qualcuno ti dice che ci sono 24 coppie di cromosomi, hai il dovere di chiedere “come fanno a saperlo?”, “come potrei verificarlo?”.

Per la scienza… Non importa se sei giovane o vecchio. Puoi essere ricco o povero. Puoi essere istruito o no. Ma devi ascoltare, imparare ed essere paziente. In effetti, devi essere uno scettico costruttivo. E devi mettere in discussione le tue idee con uno sforzo ancora maggiore di quanto non metti in discussione le idee degli altri.

Paul Graham lo spiega bene:

«Per essere uno scienziato di successo non basta avere ragione. Devi avere ragione quando tutti gli altri hanno torto. Le persone con una mentalità conformista non ne sono capaci.»

È interessante notare che, una volta apprezzata la vera natura della scienza come definita da Feynman, si può osservare che è generalmente applicabile e non limitata alla fisica. In effetti, Feynman credeva chiaramente che l'idea di scienza fosse applicabile all'istruzione, per esempio.

Sfortunatamente Feynman aveva ragione. Viviamo in una civiltà non scientifica. La scienza sopravvive in alcune nicchie.

Ecco alcuni comportamenti non scientifici che sono purtroppo comuni:

1. Insegnare la scienza come un ampio insieme di fatti e tecniche. Sostengo che quasi nessuna scienza viene insegnata al liceo. Si dice ai bambini che la materia è fatta di atomi che sono fatti di piccoli nuclei circondati da elettroni, a diversi livelli di energia. Questo è stato insegnato a uno dei miei figli al liceo. Poi gli ho chiesto "come fanno gli scienziati a saperlo?" Sguardo nel vuoto. La scienza non è imparare la carica dell'elettrone leggendo un libro. Se fosse tutto qui, non sarebbe diverso dalla conoscenza prescientifica. No. La scienza inizia quando ti chiedi come possiamo verificare cosa c'è nel libro. Come dovresti insegnare la scienza? Dovresti essenzialmente insegnare alle persone a leggere o ascoltare con scetticismo costruttivo. Se hai intenzione di insegnare materie scientifiche, devi insegnarle fornendo il contesto storico: devi sottolineare come la nostra attuale conoscenza sia l'accumulo di correzioni di rotta. Devi sottolineare come sia un work in progress.

2. Ottenere la scienza come un insieme di fatti. A volte ci viene dato un consiglio e ci viene detto che lo dice la "scienza", come se risolvesse qualcosa. Spesso non è diverso dal sentirsi dire che la conoscenza viene dal "sommo sacerdote stesso". È certamente un gioco di potere, ma non è scienza. Quando qualcuno ti dice che la scienza sta dicendo XYZ, dovresti sempre chiedere "Come fanno le persone a sapere che XYZ è vero?" E come risposta, non puoi semplicemente ripetere i loro argomenti: devi pensare da solo. Se non ti vengono mai in mente domande inaspettate, non sei uno scienziato.

3. “Mi affido agli esperti” (detto con orgoglio). Ciò che definisce la scienza dovrebbe essere che nessuno sa niente. Rimandare all'esperto è la caratteristica distintiva dell'epistemologia prescientifica: dubitare dell'esperto è la via della scienza. Osserva che c'è una differenza tra ascoltare gli esperti (qualcosa che Feynman consigliava) e rimandare agli esperti. Se il medico ti dice di prendere delle pillole, ascolta! Se non capisci, abbi pazienza. Non buttare via i consigli degli esperti. Ma non lasciarti nemmeno dominare!

La scienza può sembrare irrazionale quando la si enuncia come la dottrina del dubbio. Se segui il percorso della scienza, giocherai con idee che sono oggettivamente sbagliate o socialmente sbagliate, a un ritmo molto più alto che se seguissi semplicemente gli esperti. Ma, per gli scienziati, i veri scienziati, l'obiettivo non è avere ragione il più spesso possibile. Non c'è contraddizione tra "essere un buon scienziato" ed "essere sbagliato". L'obiettivo è spesso quello di trovare ciò che Peter Thiel potrebbe chiamare "verità segrete". Tutti sapevano, all'inizio del XX secolo, che ci sarebbero voluti decenni o secoli prima di poter volare in aereo. Si poteva fare una dichiarazione del genere con piena fiducia, anche dopo che i fratelli Wright avevano fatto la loro prima dimostrazione. E molte persone autorevoli stavano facendo proprio questo. Per scoprire verità segrete, devi allenarti a fare più domande, a portare più dubbi.

Rovelli ha scritto “Non aver paura di ripensare il mondo è il potere della scienza”. Dato che la scienza è fondamentalmente sovversiva, come potrebbe emergere e sopravvivere? Credo che il pensiero scientifico sia parte di un'ideologia più ampia che conferisce ai suoi portatori un vantaggio evolutivo. In poche parole, le società che fanno spazio alla scienza hanno un vantaggio. Costruiscono e distribuiscono una tecnologia migliore. Si adattano più rapidamente al cambiamento.


PUBBLICATO DA

Daniel Lemire

Professore di informatica all'Università del Quebec (TELUQ).

Fonte: https://lemire.me/blog/2020/07/12/science-is-the-belief-in-the-ignorance-of-experts/

Traduttore: Stefano Longagnani

domenica, aprile 04, 2021

Lettera al Garante per l'infanzia e l'adolescenza contro la DaD

 «Colui che apre la porta di una scuola, chiude una prigione»

Victor Hugo



Gentilissima Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza,

questa vuole essere una risposta alla lettera che in data 26 marzo 2021 è stata da lei inviata al Ministro dell’Istruzione prof. Patrizio Bianchi, in merito alla situazione particolarmente difficile che i bambini, le bambine e i giovani tutti, stanno attraversando a causa delle limitazioni educative e di socializzazione imposte.

Nella suddetta lettera sono contenute alcune richieste che non ci sembra possano essere inquadrate in raccomandazioni idonee a un prioritario e fondamentale ritorno alla normalità in ambito scolastico, e che anzi possano essere in qualche modo connesse a dei rischi che cercheremo di farLe presente di seguito. 

Le poniamo le nostre riflessioni, partendo da una citazione di Victor Hugo, che riprende il concetto di scuola come strumento di costruzione della dignità dell’uomo e come mezzo che ne garantisce la formazione a tutto tondo; dal punto di vista fisico, mentale, spirituale, emotivo e relazionale. Bambini e ragazzi non sono solo fruitori passivi dei servizi educativi, ma a scuola costruiscono il futuro individuale e collettivo, anche attraverso la conoscenza e la relazione con i pari; domani saranno proprio coloro che andranno a costituire il futuro di questo paese e del mondo intero, portando avanti ciò che noi adulti oggi lasciamo loro.

Questa pandemia ha colto certamente i più impreparati, ha fatto riscoprire a tutti noi quanto si possa essere fragili di fronte alla natura e in qualche misura, nella furia del benessere a cui eravamo abituati, ha riportato nel dibattito sociale la paura della morte, paura che era stata ampiamente sepolta e dimenticata. La morte è misura della vita di ognuno di noi. Questo nuovo clima culturale ha però esacerbato enormemente le reazioni alla normale fragilità del vivere. Siamo ora in una emergenza a lungo termine, con limitazioni a libertà costituzionali che a tutt’oggi risultano ancora sospese. Limitazioni costituzionali che riguardano, per esempio, la scuola e tutte le istituzioni educative in genere. È un fatto che nessun altro paese europeo abbia chiuso le scuole tanto quanto l’Italia.

Tutte le istituzioni educative hanno subito nel corso di questo anno difficile periodi di chiusura, in alcuni casi molto lunghi. È certamente il caso delle scuole secondarie di secondo grado, che hanno visto i ragazzi più grandi maggiormente penalizzati rispetto ai bambini più piccoli. In alcune regioni anche le scuole di grado inferiore hanno visto riaperture davvero molto limitate; è il caso della Puglia o, ancora maggiormente, della Campania. La risposta dello Stato a questa emergenza è stata la DaD (Didattica a Distanza) trasformata successivamente in DDI (Didattica Digitale Integrata). È stato scelto cioè l’uso di un mezzo di comunicazione digitale a distanza che potesse permettere di continuare in qualche modo il contatto coi bambini e le famiglie, e parzialmente supportare l’azione educativa e formativa che la scuola compie nei confronti dei suoi piccoli e grandi fruitori. 

Per farLe presente solamente qualche numero relativo a questo ultimo periodo e ai giorni di effettiva presenza a scuola dei nostri bambini e ragazzi, Le segnaliamo che nel periodo tra settembre 2020 e febbraio 2021, su 8 capoluoghi italiani le differenze sono state tante e particolarmente accentuate, tra le regioni del Sud e quelle del Nord, con forti discrepanze di opportunità educative. A Bari i giorni di presenza si sono attestati appena a 48, rispetto ai 107 previsti, quindi nemmeno la metà dei giorni disponibili, mentre a Milano i giorni effettivi in presenza si attestano al totale della disponibilità: ben 112. Il rapporto che le citiamo di “Save the Children” scende ulteriormente nel dettaglio e stima che i giorni in presenza persi per ciascun bambino dall’inizio della epidemia siano stati ben 74, più di un terzo dell’anno scolastico complessivo (che deve essere minimo 200 giorni - cfr. D.lgs. 297/94 art. 74/3). Monetizzati rappresentano un valore di circa 112 miliardi di euro di giorni d’istruzione persi per sempre. “Save the Children” nel suo rapporto sottolinea la grave situazione che stiamo affrontando ed evidenzia giustamente gli effetti delle perdite educative sugli apprendimenti dei bambini e dei ragazzi. Questa situazione protratta per lungo tempo rischia sicuramente di aggravare le disuguaglianze già esistenti, soprattutto delle fasce sociali più fragili, le quali non hanno infatti né gli strumenti tecnologici né i mezzi economici per procurarseli, e nemmeno la conoscenza culturale che possa permettere loro, almeno minimamente, di poter compensare in qualche modo la discrepanza di possibilità. Se riprendiamo la citazione iniziale è facile comprendere che sono proprio i più fragili ed economicamente svantaggiati a rischiare di pagare il prezzo maggiore: abbandono scolastico, devianza, criminalità.

“Save the Children” riporta inoltre la stima economica della perdita di apprendimenti, compiuta dall’OSCE e dalla Banca Mondiale: mediamente ogni paese ha subito un -1,5% di perdita del PIL, perdita che dovranno pagare proprio le generazioni future, cioè proprio i bambini e le bambine che oggi devono rinunciare alla scuola in presenza, fruendo invece di qualcosa, la DaD, che seppur con buone intenzioni non può assolutamente sostituire la scuola in presenza, fatta di relazione, dialogo e confronto.

Vorremmo inoltre evidenziarLe che alcune regioni del Sud hanno attivato forme di scuola “su richiesta” dove le famiglie si assumono la responsabilità di mandare i propri figli a scuola e accettano il rischio di un eventuale contagio. A nostro parere, tali modalità aprono formalmente la strada a una fruizione della scuola al pari di una scelta di un qualsiasi bene acquistabile, come se la scuola costituzionalmente garantita a tutti fosse semplicemente una scelta consumistica e non un ente di formazione e costruzione della personalità. 

Non crede che ciò possa minare la coesione sociale e possa costituire un pericoloso precedente? Non vede insieme a noi il concreto pericolo che una tale modalità possa ampliare le disuguaglianze educative all’interno del paese, con condizioni di partenza profondamente diverse?

Il rapporto di “Save the Children” si dilunga anche nella valutazione della possibilità di azioni concrete per consentire l’uguaglianza tecnologica delle classi sociali maggiormente svantaggiate, proponendo di fornire loro gli strumenti tecnologici necessari a ridurre tale divario di opportunità educativa. Nel far ciò, però, non si tiene comunque in sufficiente considerazione che occorre conoscere la tecnologia per poterla utilizzare efficacemente. Occorre cioè essere in grado di padroneggiare sufficientemente il linguaggio tecnologico, cosa che non si risolve fornendo semplicemente uno strumento. Oltre a questo, non si tiene in dovuta considerazione nemmeno il fatto che la DaD, nonostante la buona volontà dei docenti, non può in alcun modo veicolare gli stessi apprendimenti e neanche sopperire alla mancanza di relazioni di cui l’animo umano necessita soprattutto in età evolutiva.

Dal punto di vista degli apprendimenti è noto che in generale l'uso della tecnologia nella didattica non favorisca un livello di apprendimento migliore. Da diverse ricerche infatti emerge che laddove ci sia un uso maggiore di strumenti tecnologici, l’apprendimento ne risente negativamente. Ormai sono numerose e convergenti le ricerche sulle prove che i vantaggi della tecnologia digitale a scuola sono maggiori laddove se ne faccia un uso moderato, cioè generalmente inferiore a quanto comunemente ritenuto dagli “esperti” che in questi ultimi anni hanno sospinto enormemente l’introduzione della tecnologia nella scuola. 

Questo è dovuto prevalentemente alla nostra natura di specie con cognizione incarnata, di specie animale che ha necessità di costruire i circuiti neuronali attraverso l’esperienza concreta, manuale e fisica, in relazione al corpo, alle mani e all’ambiente circostante. Tali aspetti sono totalmente assenti in un contesto "virtuale" come quello della comunicazione telematica che predilige l’uso di un ridotto numero di gesti che, di fatto, non agevolano lo sviluppo delle abilità motorie fini, così fondamentali per lo sviluppo cognitivo. 

Molte ricerche europee sulla DaD hanno stabilito con pochi dubbi che la perdita di apprendimenti nei periodi di chiusura della scuola ha determinato carenze tra il 30% e il 50% delle abilità che si sarebbero dovute acquisire, mostrando di fatto che i bambini apprendono in DaD praticamente poco o nulla, e che ancora una volta quelle carenze vanno a pesare maggiormente sulle categorie più svantaggiate. Non si tratta solamente di mancanza di connessione o di dispositivi tecnologici, come da lei citato, o di particolari situazioni di svantaggio socio-economico; la dimensione tecnologica non può apportare lo stesso apprendimento che nasce dalle esperienze concrete e dalla relazione con gli educatori e coi pari. 

La DaD infatti oltre a risultare particolarmente inadatta ai bambini più piccoli, i quali a causa dell'età hanno maggiore necessità di relazione con l’insegnante e con i pari, è comunque, anche per gli adolescenti e gli adulti, solo un surrogato di bassa qualità della scuola in presenza. I bambini hanno estremo bisogno del confronto con i compagni per costruire tutte le competenze emotive, relazionali e sociali tipiche della socializzazione secondaria, parte complementare e irrinunciabile della socializzazione primaria fornita dalla famiglia.

La socializzazione secondaria offerta dalle occasioni educative e dalla scuola è parte del processo di formazione cognitiva dell’individuo; va cioè a costruire, nei bambini come negli adulti, le connessioni sinaptiche della corteccia cerebrale per svolgere la funzione primaria del pensiero, base sulla quale andranno poi a costruirsi tutti gli apprendimenti, come pure la maggiore o minore capacità di adattamento all’ambiente. Tali occasioni di socializzazione non possono essere sostituite da relazioni attraverso l’uso di device. 

Molti degli apprendimenti veicolati nei primi anni di vita e soprattutto nei primissimi momenti di accesso alla scuola risultano di fatto non esperibili attraverso la DaD. Possono nel migliore dei casi essere impartiti dai genitori, se questi sono in grado ed hanno la possibilità di sostituirsi agli insegnanti. Ma in molti casi gli adulti hanno un lavoro che non può essere svolto in smart working o devono gestire le diversissime esigenze di figli di età diverse. Siamo di fronte ad un’ulteriore fonte di disuguaglianza tra chi svolge determinati lavori intellettuali (che con maggiore probabilità possono essere svolti a distanza) e chi invece non ha la possibilità di poter lavorare da casa e non può quindi controllare e gestire i propri figli incollati ad uno schermo.

Possiamo ulteriormente estendere la nostra riflessione sulla tecnologia a scuola collegandola all’aumento dei disturbi evolutivi di questi anni; numerose ricerche condotte su bambini e adolescenti hanno messo in luce i rischi di sviluppare sintomi relativi ai disturbi dell’attenzione, del linguaggio e in generale dell'apprendimento in una percentuale più elevata nei soggetti facenti uso di dispositivi digitali per parecchie ore al giorno. Vorremmo mettere in luce i probabilissimi rapporti di causa ed effetto tra l’uso pervasivo di strumenti digitali e l’erosione delle abilità motorie indispensabili per l’acquisizione del linguaggio scritto e parlato; abilità che sono anche alla base di tutti gli altri apprendimenti superiori.

In ultimo, ma non per ultimo, Le segnaliamo anche il rischio di dipendenza dall’uso della tecnologia; recentemente inquadrata come vera e propria patologia che unita agli ulteriori rischi conseguenti a uno stile di vita sedentario può causare molto spesso sovrappeso e obesità, ed altri disturbi mentali non meno gravi. Le facciamo presente ulteriormente che stanno emergendo dati preoccupanti anche per quanto riguarda gli aspetti collegati agli abusi su minori in relazione all’uso dei social media e del web: adescamenti di minori, pedopornografia, sopra a tutti. Le statistiche che stanno emergendo anche in relazione a questo fenomeno, dovrebbero richiamare l’attenzione di tutte le istituzioni e dei decisori politici. 

In questa situazione emergenziale l’amministrazione statale e locale ha scelto di fornire quindi un’unica risposta, che è collegata ai concreti rischi prima citati. 

Per completare il quadro, Le forniamo qualche dato relativo al tempo in cui i nostri figli e studenti devono rimanere collegati con strumenti che possono costituire rischi maggiori di quello per loro rappresentato da un’infezione di SARS-CoV-2. 

Abbiamo bambini del nido e della scuola dell’infanzia occupati con collegamenti telematici definiti “legami a distanza” o, con l’immancabile neologismo, “lead” (legami educativi a distanza) a un’età che risulta particolarmente critica per la loro crescita: ci risulta difficile pensare che questa modalità possa essere un mezzo definibile come “legame”. La parola “legame” richiama un filo, qualcosa cioè che lega qualcuno a qualcun altro tramite un elemento fisico e intimo, fatto di cura, pelle, carezze, coccole e abbracci. Vogliamo far finta che ciò possa essere solo lontanamente sostituibile con un collegamento telematico? Semplicemente: non lo è. 

Possiamo forse fingere, ma così si agevola nei più piccoli l’accesso precoce a tecnologie digitali che dovrebbero essere di esclusivo uso degli adulti, facendo percepire come normale qualcosa che normale a questa età non è. 

Abbiamo bambini delle prime classi della primaria che raggiungono anche 20 ore settimanali di esposizione agli schermi: molto spesso risulta praticamente impossibile porre la dovuta e doverosa attenzione verso tutti gli aspetti dei primissimi apprendimenti che saranno poi le fondamenta di tutti gli apprendimenti successivi. 

Abbiamo preadolescenti e adolescenti rinchiusi nelle proprie camere, ai quali è stata tolta qualsiasi socializzazione e che rimangono collegati a strumenti tecnologici in via permanente, per ore e ore. Sono giovani sempre più chiusi e sempre più lontani da una normale esperienza sociale coi compagni e con gli insegnanti di riferimento. Ci chiediamo se i decisori politici abbiano ragionato su tutti questi aspetti e se, nelle loro riflessioni, sia stato per caso incluso un piano d’azione che preveda costi e benefici in relazione ai bisogni dei più piccoli e dei giovani. Ce lo chiediamo da un anno senza trovare risposte.

Ci chiediamo inoltre, invitandola ad analoga riflessione, se negli atti legislativi e regolamentari del governo e delle amministrazioni locali, sia stata presa in considerazione qualche misura diversa dal mero distanziamento e dalla frapposizione di barriere, poiché crediamo fondamentalmente che quel bene comune che sono i nostri bambini e i nostri ragazzi, meritino di più, esattamente come merita di più la scuola.

Dal punto di vista degli investimenti, poco o nulla è stato fatto in oltre un anno dall’inizio dell’emergenza. 

I trasporti dedicati agli studenti sono rimasti sostanzialmente invariati anche con l’inizio del nuovo anno scolastico e fino al momento in cui sono esplose le giuste proteste e polemiche, che tutti noi abbiamo letto sui giornali. Il trasporto, però, era ed è uno dei nodi cruciali e di possibile criticità.

Le cosiddette “classi pollaio” sono rimaste esattamente invariate nei numeri; ancora dopo un anno si autorizzano classi costituite dagli stessi numeri pre-pandemia. 

Dal punto di vista delle strutture, al di là dei proclami e delle promesse, nulla o quasi è stato messo in campo per fornire spazi aggiuntivi, anche solamente temporanei. Si è deciso solo di distanziare i bambini e i ragazzi in spazi esattamente uguali ponendo regole a volte persino incoerenti e totalmente irrazionali.

Si è pensato, in sostanza, solo ad allontanare i bambini ed i ragazzi tra loro. Nulla è stato fatto invece per fornire soluzioni diverse, che avrebbero dimostrato un maggiore interesse del Parlamento e del Governo nei riguardi della scuola e dell’importanza costituzionale e sociale che essa riveste, o che dovrebbe rivestire. Ulteriore prova di ciò è la sproporzione tra gli investimenti di natura tecnologica e quelli che avremmo voluto vedere per garantire ai nostri giovani e giovanissimi la possibilità di frequentare la scuola ogni giorno.

Ci faccia aggiungere che siamo preoccupati dall’aumento degli atti di autolesionismo e dei disturbi alimentari (aumentati del 30%), oltreché dall’aumento dei tentati suicidi da parte dei giovani e dei giovanissimi. Si tratta di dati pubblici denunciati in più occasioni e che hanno portato all’attenzione di tutti noi una situazione spaventosa, che dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia a cuore le nuove generazioni. 

Si è assistito ad esempio da ottobre 2020 a un aumento del 30% dei ricoveri in neuropsichiatria. Solo all’ospedale Bambin Gesù di Roma dai 12 ricoveri del 2011 siamo passati a 300 ricoveri nel 2020. Sono situazioni certamente associate al periodo pandemico attuale e all’isolamento sociale che i giovani e i giovanissimi stanno subendo, oltre all’aumento costante di ansia, fobia sociale, irritabilità, disturbi del sonno e depressione. Sono problemi collegati alle misure prese per la pandemia e all’azzeramento totale delle occasioni di aggregazione per i più giovani. 

Vorremmo porre una riflessione ulteriore sul contagio in ambito scolastico, di cui si è tanto parlato sulle testate giornalistiche e in ambito politico, ma che numerosi studi condotti sia negli altri paesi europei, sia nel nostro paese, hanno mostrato essere sostanzialmente limitato e in misura minore rispetto ai contagi che avvengono in ambito lavorativo, rendendo piuttosto evidente che la scuola non è tra i principali luoghi di diffusione dell’epidemia.

Da un ampio studio europeo è emerso che i danni derivanti dalla chiusura delle scuole sono enormemente maggiori rispetto al rischio che esse fungano da amplificatori della curva epidemica; analizzando le curve stesse si può notare facilmente l’assenza di una relazione diretta dei picchi epidemici con l’apertura o meno della scuola. Per molti mesi i numeri dei contagi si sono attestati simili, sia in realtà locali con le scuole aperte fino al primo ciclo sia in altre realtà con le scuole di ogni ordine e grado chiuse. Un recente studio di comparazione dei dati forniti da ISS (Istituto Superiore di Sanità), dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale), dalle ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e dalla Protezione Civile, e comprendenti i dati di 7,3 milioni di studenti (ovvero un campione che raccoglie il 97% delle scuole italiane), mostra in modo inequivocabile che le lezioni in presenza non sono correlate all’aumento dei contagi avvenuto nel mese di ottobre 2020 e che dei tamponi risultati positivi nello stesso periodo ne sarebbe riconducibile a contesti scolastici solo uno scarso 1%. La curva epidemica, inoltre, pare innalzarsi indipendentemente dall’inizio della scuola, senza alcuna relazione diretta e con una progressione differente, per esempio, a Roma rispetto a Napoli, nonostante che nella capitale la scuola sia iniziata ben dieci giorni prima rispetto al capoluogo campano. Ciò è avvenuto nonostante il dilagare della famigerata variante inglese, la quale, nonostante quello che viene diffuso dai media, non risulta in alcun modo più aggressiva del virus di Wuhan e, analogamente, colpisce i giovani e i bambini con una frequenza minore del 50% rispetto agli adulti

Ci chiediamo quindi per quale ragione si continui, esattamente come un anno fa, all’unica soluzione della chiusura della scuola di fronte a simili dati, nonostante quel che oramai si riconosce. A tal proposito vorremmo farLe presente anche, la recente sentenza del Tar Lazio (recentemente confermata dal Consiglio di Stato), nella quale è stato stabilito che i futuri provvedimenti del governo dovranno tenere conto delle nuove evidenze scientifiche. Le ricerche scientifiche prodotte da più parti giungono alla conclusione che non esistono di fatto dati solidi e incontrovertibili che il contagio avvenuto in classe influisca sull’andamento generale della curva e che le infezioni riscontrate in ambito scolastico siano legate in qualche modo all’apertura delle scuola.

Ci chiediamo come si possa ancora gridare all’emergenza dopo 365 giorni abbondanti, contati dall’inizio dell’epidemia; giorni, tempo e conoscenze che avrebbero dovuto invece concorrere all’attuazione di misure per la garanzia del proseguimento delle ordinarie attività scolastiche. 

Ci chiediamo oltremodo come mai nella crescita della curva epidemica intercorsa tra ottobre e novembre la scuola fosse stata garantita almeno fino al primo ciclo, anche se in talune regioni vigeva la “zona rossa”, con un numero di contagi doppio e un numero di morti triplo rispetto ai numeri odierni, mentre dall’inizio di marzo sia stata decisa la chiusura totale di ogni attività in presenza, mettendo in difficoltà ulteriore i bambini e i giovani già provati dal lungo lockdown della scorsa primavera, e mettendo in difficoltà ulteriore le donne lavoratrici. In merito Le segnaliamo che la stragrande maggioranza dei lavoratori disoccupati dopo il primo lockdown sono donne, con una diminuzione degli occupati che si attesta a 99.000 unità. Questo dato è possibile riscontrarlo anche nel report di Istat relativo all’intero anno: dei 444.000 occupati in meno, il 70% è donna. La chiusura della scuola quindi, non solo va ad incidere su chi ne usufruisce, ma anche sulle fasce sociali femminili che maggiormente sono dedite alla cura dei minori. 

Sono domande che ci poniamo e alle quali troviamo risposte con grande difficoltà. Sono riflessioni “ad alta voce” che vogliamo far giungere a Lei, garante dei bambini e dei giovani, ai nostri occhi grandi assenti dal dibattito politico di questo periodo: essi sono alternativamente ignorati e accusati di irresponsabilità, ovvero tacciati di volersi divertire in dispregio della morte. Sono colpevolizzati per la voglia di vivere connaturata alla loro età; sono accusati quali untori pericolosi, da ogni parte e anche da “eminenti” scienziati, frequenti ospiti dei salotti televisivi. È questa una campagna mediatica a tratti vergognosa contro giovani, bambini e bambine, ai quali è stato tolto tutto; che hanno subito la sostituzione della scuola con uno schermo e l’eliminazione dello sport e dei giochi nei parchi, come se giocare sia un’altra colpa inammissibile. Sono stati privati dei pari, degli abbracci e anche del confronto con gli adulti. Sì, perché sembra proprio che sia in atto una vera e propria ondata anti-infanzia: l’interesse per le nuove generazioni ha toccato voragini inesplorate e abissi profondi; molto spesso durante questo anno è stato riservato loro un infinitesimale nulla. Mai esperti di infanzia e di bambini, pedagogisti ed educatori, sono stati convocati in alcuna commissione consultiva (con l’eccezione di una docente/psicologa nel CTS) e non hanno fatto parte di quel gruppo di esperti chiamati a decidere, tanto incautamente, delle sorti dell’infanzia e dell’adolescenza. I danni sono già incalcolabili. È giunto il momento di tutelare quei bambini, quelle bambine e quei giovani, poiché proprio loro sono il nostro FUTURO. 

Le chiediamo con questa lettera di valutare questa nostra richiesta di protezione dei più giovani, i quali non hanno avuto, in questo anno terribile, alcuna rappresentanza dei loro disagi e dei loro bisogni.

Poniamo alla Sua attenzione alcuni presupposti per noi imprescindibili della protezione dei più piccoli: 

  • apertura delle scuole di ogni ordine e grado, anche delle scuole secondarie di secondo grado, che sono state quelle maggiormente penalizzate, e delle università a prescindere dal colore deciso dal meccanismo automatico dei dati rilevati: i giovani hanno pagato abbastanza;
  • ingenti investimenti strutturali per garantire al più presto la scuola in presenza a tutti i nostri ragazzi; la scuola è un bene sociale da difendere ed è una funzione costituzionale imprescindibile: non è accettabile un “ove possibile” come da Lei citato nella lettera inviata al ministro dell’Istruzione
  • sorveglianza sui rischi connessi alla tecnologia e al protrarsi della DaD come strumento educativo permanente, imposto inizialmente con il pretesto della pandemia, ma proposto per il futuro oltre la pandemia, come da dichiarazioni recenti del Ministro dell’Istruzione Bianchi: non si può pensare che la scuola sia sostituibile da videolezioni, schermi digitali e distanza, neanche parzialmente;
  • preoccupazione per l’ipotesi e la richiesta di riapertura scolastica con tamponi settimanali ai giovani e agli addetti della scuola: non si può pensare tali proposte come concretamente fattibili, sensate e quantomeno gestibili, oltreché essere enormemente invasive e a lungo termine dannose; si prefigurerebbero inoltre fenomeni di discriminazione e di violazione della riservatezza degli studenti coinvolti nel trattamento sanitario, anche se venissero utilizzati tamponi salivari come richiesto nella Sua lettera al ministro dell’Istruzione. 

La ringraziamo del tempo che ha dedicato alla lettura di questa lettera, scritta con l’unico scopo di proteggere la scuola e i giovani tutti. 

Cordialmente.

Comitato di genitori e insegnanti "Scuola È in Presenza!", 
aderente a Rete Nazionale Scuole in Presenza.