sabato, ottobre 20, 2018

Alcune meta domande sui DSA

DSA
Perché le diagnosi non fanno che aumentare?
E perché tanta disomogeneità territoriale tra una provincia e l'altra, tra una regione italiana e l'altra?

Per provare a rispondere a queste domande bisogna suddividere il fenomeno in due: da una parte i criteri diagnostici, dall'altra il "sistema" di gestione che la legge 170/2010 ha delineato e sostanzialmente imposto.

1) IL PROTOCOLLO DIAGNOSTICO
I criteri diagnostici sono un aspetto molto critico, e verranno discussi in modo approfondito in un post ad hoc.
Qui mi limito ad osservare che i protocolli diagnostici vengono decisi periodicamente a livello nazionale dalla Conference Consensus, organo in mano agli stessi "esperti" che poi potrebbero trarre rilevanti benefici economici dall'aumento dei casi di DSA. Solo per fare un esempio: diversi dei luminari implicati quali consulenti per la stesura della stessa legge 170/2010 e per il decreto successivo contenente le discutibili linee guida, sono in palese conflitto di interessi.
Molti di loro fanno affari a vario titolo: mediante pubblicazioni specialistiche e/o divulgative sull'argomento, oppure collaborano con doposcuola a pagamento specificamente per bambini e ragazzi con diagnosi di DSA, inoltre molti di essi formulano essi stessi diagnosi nei loro studi privati, arrivando a farsi pagare anche oltre 400 euro per una singola diagnosi.
Effettuare una diagnosi, dopo adeguata anamnesi, prevede dal punto di vista operativo di somministrare test di performance, progettati sulla falsariga dei test del QI, tarati statisticamente, quindi sensibili alla popolazione di riferimento e a dove venga fissata dagli "specialisti" la soglia di non "normalità".
Oltre a tutti i difetti già noti in letteratura relativi ai test per la stima del QI, questi specifici test sono molto sensibili a dove gli "specialisti" fissano la soglia, visto che per molte delle abilità testate la distribuzione delle performance non è affatto una gaussiana.
Inoltre, e questa è una critica sollevata pure da parte di esperti del settore, il protocollo diagnostico prevederebbe, prima che lo "specialista" possa formulare una diagnosi, di valutare la cosiddetta "resistenza all'intervento", la resistenza cioè del "disturbo" a evidenziarsi anche dopo rilevanti interventi di recupero dell'attività testata come deficitaria.
Per chiarezza: se per esempio un bambino fatica tra le altre cose ad automatizzare il calcolo mentale, lo specialista che lo rileva dovrebbe, prima di poter emettere una diagnosi basata anche su tale fragilità rilevata, potenziare con specifiche attività di recupero tale aspetto cognitivo. Se dopo un congruo periodo di potenziamento, condotto in modo "adeguato" (e qui si potrebbe aprire un universo di obiezioni su come valutare adeguato un intervento didattico che non ha sortito effetto) il bambino non migliora o migliora troppo poco, questo sarebbe indice della cosiddetta "resistenza all'intervento", parametro fondamentale per formulare una diagnosi.
Non mi risulta però che tale "resistenza all'intervento" venga rilevata come sopra descritto se non in pochi rari casi. La prassi è invece quella della sola intervista anamnesica: se la frequenza scolastica è stata regolare si suppone che sia stata la scuola a mettere in campo gli interventi necessari. Se il problema persiste, e se ci si trova nello studio del diagnosta il problema ovviamente sta persistendo, si può supporre, in "scienza e coscienza" fino a che punto non lo capisco, che la resistenza all'intervento si sia "chiaramente" manifestata.

2) IL SISTEMA DI GESTIONE DEI DSA
Fondamentalmente si tratta di un malefico meccanismo che conviene a tutti. Meno che ai bambini ovviamente. Non si tratta di un complotto, ma della spontanea luciferina convergenza degli interessi, di varia natura, del mondo adulto.
Conviene ai "luminari" che in università ci costruiscono sopra una carriera.
Conviene a psicologi e psichiatri che fanno le diagnosi privatamente, diagnosi che arrivano a costare anche 400 euro (solo ieri ne ho vista una pagata oltre 240 euro).
Conviene ai docenti, ai quali viene fornito su un piatto d'argento un alibi "scientifico" per i loro fallimenti educativi. Perché un docente dovrebbe mettersi in discussione se i suoi studenti non imparano? Se questi studenti, "poverini", hanno un disturbo mentale, "non è certo colpa mia" penserà il docente.
Alcuni docenti poi attivano la modalità "cacciatore di DSA", e quando arriva l'agognata diagnosi, li vedi camminare tronfi per i corridoi, soddisfatti e pronti a chiosare il perfido "ve l'avevo detto che aveva qualcosa che non andava!". Per tacere delle funzioni strumentali create in ogni scuola, e retribuite per occuparsi della parte burocratica prevista dalla legge.
Conviene, duole dirlo, ai genitori. In questo caso la "convenienza" è di tipo completamente diverso. Si tratta del sacrosanto sollievo, una vera liberazione, che provano i genitori quando finalmente viene dato un nome, un'etichetta, alla reale e fin troppo concreta difficoltà scolastica del proprio figlio.
Qui però si manifesta una sorta di inganno, di promessa non mantenuta dal meccanismo medicalizzante. I genitori trovano sollievo nell'etichetta data alle difficoltà del proprio amato figlio perché sperano, giustamente, che una volta individuata il nome del male, si possa finalmente correre ai ripari, fare finalmente qualcosa contro quelle difficoltà scolastiche reali che in molti casi per anni hanno avvelenato la vita famigliare.
Ecco che però la diagnosi, che richiama il concetto oscuro di malattia ma anche quello luminoso di cura, del prendersi cura verso l'amata prole, non rispetta le aspettative. La cura proposta rientra nella categoria delle cure palliative, della diminuzione del dolore in attesa della morte, verrebbe da dire.
"Misure dispensative" vengono chiamati gli esoneri all'apprendimento che vengono decisi dal consiglio di classe, su suggerimento de "l'esperto" incaricato e sulla base della legge e delle sue "perentorie" linee guida.
Psichiatra o psicologo che sia, cosa ne sa "l'esperto" di turno di apprendimenti? A meno di lodevoli casi fuori dall'ordinario, cosa ne sa il diagnosta della relazione educativa? Cosa ne sa delle dinamiche di classe? Nel percorso diagnostico mai  viene sentito o criticamente esaminato l'ambiente scolastico. Il risultato netto è che il bambino viene letteralmente e praticamente dispensato da determinati apprendimenti.
Fa fatica a scrivere in corsivo perché impugna male la penna e perché nessuno gli ha correttamente insegnato la programmazione motoria dei caratteri? Dispensato: scriva in stampatello per sempre.
Fa fatica a ricordare le tabelline perché la didattica applicata non prevedeva la stimolazione multisensoriale e non c'è stata attenzione alle cattive abitudini mentali che i bambini dotati dal punto di vista linguistico sogliono prendere nei confronti della matematica? Dispensato: gli si dia in mano una calcolatrice per sempre. Così che dopo pochi anni ne avrà bisogno per fare 20+20 o 4² (esempi non a caso; mi sono capitati realmente).
La calcolatrice rientra tra quelli che vengono chiamati "strumenti compensativi", come pure il correttore ortografico dell'elaboratore di testi, o il libro digitale con la possibilità di essere letto da una  voce robotica.
L'esempio fuorviante che viene fatto alle famiglie e agli stessi bambini, che in molti casi sono giustamente diffidenti verso tali soluzioni "didattiche", è quello degli occhiali. Ai miopi non si mettono forse sul naso gli occhiali? Diventa "logico" mettere in mano la calcolatrice ai cosiddetti discalculici.
Peccato che non essendoci modificazioni organiche irreversibili (il cervello è per definizione neuroplastico) l'esempio calzante non è quello degli occhiali, ma quello della sedia a rotelle. Un bambino con difficoltà a deambulare al quale si fornisca una comoda sedia a rotelle in pochi anni rischia di essere del tutto incapace di ogni più piccolo spostamento autonomo.
E questo lo si fa, si badi, SENZA una sola ricerca che provi che fornendo "strumenti compensativi" gli apprendimenti in quello specifico dominio cognitivo MIGLIORINO rispetto a chi di questi strumenti ha invece dovuto fare a meno. Al contrario sono numerose le ricerche che provano la meravigliosa potenza della suddetta neuroplasticità cerebrale. Il cervello di tutti, correttamente stimolato, impara.
L'irrazionalità di tali soluzioni "dispensative" è massima. Si pensi al fatto che un adulto o un anziano colpito da ictus, quindi con un rilevante danno organico, viene normalmente sottoposto a rieducazione per ritornare a parlare, a scrivere, ecc. A "funzionare" normalmente insomma. E i risultati che si ottengono in questo campo sono coi decenni diventati sempre più rilevanti. Il cervello non finisce di stupire e nuove ricerche spostano sempre più in avanti nell'età adulta e anziana la sua capacità di ristrutturarsi, di "imparare" insomma.
L'opportunità di apprendimento che si offrono normalmente ad un anziano colpito da ictus, vengono invece negate ad un cervello in età evolutiva, fornendo svariate "misure dispensative" e tecnologici "strumenti compensativi".
Come una volta mi ha detto una tutor dell'apprendimento, convinta sostenitrice del potenziamento didattico, visti i buoni risultati raggiunti:

«il miglior strumento compensativo è il cervello».

Detto questo rimangono da analizzare le notevoli differenze territoriali dei casi che si rilevano.
Un fenomeno analogo si è verificato negli USA nelle diagnosi di ADHD (Sindrome da iperattività ed attenzione), diagnosi che in percentuale diminuivano all'aumentare della distanza dalle università impegnate nella ricerca proprio su tale fronte. Si potrebbe ipotizzare un effetto correlato alle conoscenze specifiche degli operatori. Più vicino ci si trova ai centri di irradiazione delle "conoscenze" specialistiche relative ai protocolli diagnostici, e maggiore è l'attenzione che viene rivolta nel cercare di individuare soggetti passibili di diagnosi.
A Modena, per esempio, l'università è all'avanguardia nella ricerca precoce dei bambini con presunti DSA. A questo scopo una apposita convenzione tra Azienda Sanitaria Locale e scuole primarie della provincia permette di sottoporre a pre test diagnostici tutti i bambini delle classi prime delle scuole primarie della provincia.
È da poco stato stipulato un'ennesima convenzione tra le scuole medie inferiori della città di Modena per un'analoga iniziativa. A novembre di quest'anno tutti i bambini delle classi prime verranno sottoposti a pre test diagnostici, e nel caso indirizzati al servizio di neuropsichiatria infantile della ASL.
Questo invio in massa ingolferà le code di attesa e molti genitori, messi in ansia dalle comunicazioni giunte dalla scuola, presumibilmente si rivolgeranno a professionisti, psicologi e psichiatri, che potranno così beneficiare economicamente di questa iniziativa.
Dove questi meccanismi non sono ancora stati creati è parecchio più debole la spinta alla medicalizzazione dei problemi scolastici. In presenza di difficoltà scolastiche si opera, nei casi migliori, aiutando il bambino con attività di potenziamento didattico e, nei casi peggiori, lasciando ai soli insegnanti il carico della responsabilità dei recuperi. In questi ultimi casi, i più frequenti, la fortuna di incontrare un bravo docente è ancora fondamentale.

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