sabato, agosto 20, 2016

Da "Il senso delle cose"

«E chi sono oggi gli stregoni? Psicoanalisti e psichiatri, ovviamente. Se guardate a quante teorie teorie complicate sono riusciti a tirar fuori in un tempo infinitesimo, e fate il confronto con qualunque altra scienza, [se valutate] quanto è lungo il processo che conduce a mettere in fila un'idea nuova dietro l'altra, se considerate tutto questo gran castello... e le pulsioni, le inibizioni, l'Io e l'Es, e le forze, le tensioni... vi renderete conto che non può essere tutto vero.»

Richard P.Feynman

Il brano è tratto dalla terza conferenza tenuta presso l'Università di Washington nell'aprile 1962 a Seattle (cfr. pag.118, Il senso delle cose, Adelphi, 2016).

Richard Feynman, insignito del premio Nobel per la fisica nel 1965 per i suoi studi di elettrodinamica quantistica, durante il dottorato a Princeton  collaborava informalmente con i colleghi dell'istituto di psicologia aiutandoli sugli aspetti matematici dei loro esperimenti, apprendendo ad esempio che «Di regola in psicologia si cerca di progettare il test in modo che la probabilità di una risposta casuale sia bassa, in genere meno di uno a venti [cioè il 5℅ NdR]. Il che, tra l'altro, significa che mediamente una su venti delle leggi che scoprono è sbagliata.» (ibidem, pag.86).

giovedì, luglio 28, 2016

Difficoltà di apprendimento: Nuovi scenari della ricerca mondiale

Riporto integralmente l'interessante post di Valeria Rosso sul nuovo approccio che bisognerebbe tenere nei confronti dei DSA.

(aggiungerò man mano i link alle ricerche citate nell'articolo)

=== inizio articolo ===

Difficoltà di apprendimento: Nuovi scenari della ricerca mondiale!

Buone notizie dall’Accademia Internazionale per la Ricerca nella Disabilità dell’Apprendimento (IARLD) che si è tenuta nei giorni scorsi in Texas!
Ce lo fa sapere Daniela Lucangeli, nell’introduzione al corso di psicologia dell’apprendimento della matematica organizzato da CNIS PADOVA al quale sto partecipando, così, mossa semplicemente dal desiderio di condividere con voi quello che la Professoressa Lucangeli ci ha raccontato questa mattina, riporto, nella maniera più semplice possibile e senza pretesa di essere esaustiva o tecnicamente perfetta, i dati più significativi emersi dagli emeriti scienziati che sono intervenuti nella conferenza annuale IARLD che si é tenuta ad Austin ad inizio luglio.

Nel primo simposio “Identification of learning disabilities: an international perspective” sono stati raccolti una quantità enorme di dati clinici, biomolecolari, psichici, ecc. sui bambini di tutto il modo con cosiddette DSA emerse nei primi anni di scuola si è affermato che non si può più parlare di disturbi specifici di apprendimento ma di disarmonie nei processi maturazionali di natura epigenetica, ovvero che dipendono dalla capacità dell’ambiente di modificare l’attivazione di alcuni geni. Tutte le vere dislessie per esempio si verificano nei primi mesi di vita, tutte le problematiche che riguardano le capacità motorie (es:disgrafia) si possono riconoscere nei primi anni di vita. La memoria epigenetica traccia 3 generazioni, ovvero tramanda memorie provvisorie nell acido ribonucleico minore, per cui possiamo tramandare fino ai figli dei nostri nipoti una maggiore o minore capacità di trovare strategie di apprendimento anche se ci troviamo in presenza di disturbi di apprendimento.
Alcune difficoltà, se emergono dopo la terza elementare, derivano da disturbi visuo-spaziali, ovvero pattern che che sono imposti culturalmente dalla scuola e dalla nostra società (ad esempio scrivere da sinistra a destra, mettere in colonna in numeri per i calcoli scritti). Addirittura si giunge all’affermazione forte per cui “I paesi che continuano a fare diagnosi di DSA sono IGNORANTI”.

La canadese Linda Siegel (University of British Columbia) ex presidentessa dello IARLD e ricercatrice di livello assoluto in tema di learning disabilities ha presentato un’analisi sul rapporto tra educazione e sistema scolastico al termine della quale ha affermato che non serve fare “clinic test” (che misurano intelligenza, personalità, disturbi dell’umore, ecc) bensì “achievement test” (che misurano il processo di apprendimento e quindi che attuano un ‘analisi qualitativa dell’errore).
Serve capire, in sostanza, perché il ragazzo commette quel determinato errore così da attuare le corrette strategie di correzioni in maniera precoce e sistematica. Solo con questo procedimento si può essere sicuri che il miglioramento è reale e non avviene per una casuale concomitanza di fattori.
Il gruppo di ricerca in psicologia dell’apprendimento di Padova, per altro, é precursore in questo ambito e il lavoro di Daniela Lucangeli sull’analisi dell’errore, iniziato già 20 anni fa, ha ricevuto infatti un ringraziamento pubblico durante il congresso (La ricerca in Italia si conferma ancora una volta eccellenza a livello mondiale!!)

James Chapman (University of New Zeland), dice di smettere di categorizzare le anomalie come se fossero uguali per tutti ma propone una “New Policy “: se ci imbattiamo in anomalie non preoccupiamoci di categorizzarla ma impegniamoci a farle rientrare aiutando il ragazzo ad assestarsi per affrontare serenamente i passi successivi di apprendimento. Solo dopo molti tentativi di normalizzazione se non otteniamo cambiamenti, allora possiamo ricorrere alla categorizzazione con il solo scopo di aiutare il ragazzo ad essere tutelato dalla legge.”
La belga Annemie Desoete (Ghent University & Artevelde University) ha fatto un’analisi di tutti i discalculici evolutivi del Belgio e ha visto che tutti questi casi presentano anche goffaggine motoria e che più i trattamenti di aiuto all’apprendimento sono pesanti e più falliscono, quindi é opportuno ridurre il carico solo a ciò che è davvero necessario.

In definitiva siamo di fronte ad un bel retrò front da parte dei massimi esperti mondiali di educazione e direi che da genitori ed educatori dis-perati  di fronte a quella che sembra essere ultimamente un’esplosione delle DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) diagnosticate nelle scuole – possiamo tirare un bel respiro di sollievo!!
In tanti anni gli scienziati e gli esperti hanno pensato che l’errore fosse associato al concetto di colpa (è colpa tua che non ti impegni o non studi, è colpa della tua famiglia che non ti supporta nello studio), poi si è associato l’errore al concetto di patologia (hai una discalculia, disgrafia, dislessia,ecc) ora fanno ammenda e riconoscono che é più etico parlare in prima analisi di difficoltà cognitiva.

Diventa quindi urgente utilizzare un nuovo vocabolario (perché le parole sono spesso crudeli e diventano etichette e giudizi che é difficile scrollarsi di dosso negli anni) e nuovi codici più trasparenti, per cui se identifico un bambino in difficoltà di apprendimento occorre innanzitutto fare una analisi approfondita del perché, poi si inizia un percorso di aiuto usando soprattutto la cosiddetta warm cognition (nei piccoli le emozioni non sono stabili ma dipendono al 100% dai link con i compagni, maestri e genitori) e poi “aiuto, aiuto e ancora aiuto” solo dopo tutto ciò, se non c’è alcun miglioramento si può parlare di disturbo!
Per anni la professoressa Lucangeli si è battuta a livello internazionale per far sì che le diagnosi di DSA venissero emesse solo dopo che il seguente percorso maturazionale fosse risultato fallimentare:
1-test iniziale che individui le fragilità cognitive
2-percorso di potenziamento individualizzato sulle fragilità
3-ripetizione dello stesso test.
In tutti i casi in cui il processo appena descritto conduce anche solo ad un piccolo miglioramento non si può MAI parlare di DSA!

Alla fine la professoressa Lucangeli condivide con noi una vera “chicca” che la presidentessa delle scuole Gandhiane indiane le ha regalato, ovvero la “preghiera” che gli insegnanti fanno quando attuano il potenziamento di funzione nell’età neuroplastica ai ragazzi: ” L’IO SONO chiede scusa all’IO che TU SEI per tutto l’aiuto che non so dare all’ IO CHE SARAI DOMANI”.

Chiedere perdono, ringraziare ad essere allegri, ecco ciò che ci raccomanda Daniela Lucangeli come strumenti per il successo educativo e fondamento per stringere un alleanza profonda con i ragazzi CONTRO l’errore cognitivo.

 

Valeria Rosso

=== fine dell'articolo ===

martedì, giugno 07, 2016

Finlandia: il fallimento della matematica orientata al "problem solving". Ma non erano i primi della classe?

Non ho nulla da aggiungere all'ottimo articolo che si può leggere su Orizzonte Scuola sui danni arrecati ai giovani finlandesi da una serie di "innovazioni" didattiche sciagurate, simili a quelle che vorrebbero imporre i nostri politici alla scuola italiana (e che in parte sono state già messe in cantiere). A questo link è possibile leggere il paper originale  in PDF che certifica il fallimento delle politiche per l'istruzione della Finlandia.

La cosa era nota da tempo, a chi sapesse osservare e valutare. Si veda il post sull'argomento sul blog del prof. Giorgio Israel, (del 2011) e l'articolo in PDF dello stesso docente reperibile qui.

Voglio concludere questo mesto post con il link alla traduzione di un interessante articolo di Bill Ferriter, un docente statunitense di scuola media, premiato come miglior insegnante ed esperto di tecnologie didattiche. Si intitola "Perché odio la LIM", è apparso nel 2010 sul supplemento Education Week della rivista Teacher Magazine, ed è un'ottima analisi del perché stiamo sprecando un sacco di soldi nelle nostre scuole, dalla primaria alle superiori.

venerdì, aprile 29, 2016

Muoversi aiuta gli etichettati ADHD

Ho trovato interessante l'articolo sull'ADHD che potete leggere qui, perché questa scoperta ribalta completamente parecchie delle opinioni mainstream su questo delicato argomento.

Non condivido le ipotesi teoriche alla base dell'articolo scientifico in inglese (di cui troverete l'abscract qui) e le purtroppo inevitabili semplificazioni del giornalista italiano, ma voglio sottoporre l'articolo qui sopra alla vostra attenzione perché è l'ennesima prova oggettiva dei disastri della medicalizzazione delle difficoltà di apprendimento.

Infatti i comportamenti misurati dai ricercatori sono fatti oggettivi, e la statistica applicata in modo rigoroso non è una opinione (fallace), come invece lo sono molte delle bufale spacciate da chi propaganda soluzioni mediche per problemi pedagogici.

Penso che invece i fatti oggettivi misurati dalla ricerca (e cioè una correlazione positiva tra livello di attività grosso motoria e costruzione dei ricordi nei bambini etichettati come ADHD, quando al contrario nei bambini non etichettati tale correlazione è negativa) confermi i modelli pedagogici di costruzione dei ricordi validati dalla pedagogia della gestione mentale di Antoine De La Garanderie. Pedagogia della gestione mentale che si dimostra per l'ennesima volta strumento molto più adatto a inquadrare teoricamente le difficoltà di apprendimento rispetto all'approccio psichiatrico e psicologico, che muovono da assunti teorici completamente non oggettivi.

Ad esempio andrebbe abbandonato il concetto di memoria di lavoro, che è stato ipotizzato negli anni cinquanta in similitudine con lo sviluppo dell'elettronica e dei calcolatori, senza legarlo minimamente a studi di neurologia.

Ad oggi il concetto di memoria di lavoro, invece di essere abbandonato in favore di modelli teorici nati nell'ambito delle neuroscienze e della neuropedagogia, viene modificato e complicato all'inverosimile per adattarlo ai risultati di queste ultime. Dovrebbe essere invece ormai chiaro a tutti che i modelli legati alla psicologia cognitiva (e quindi a concetti nati nel campo dell'elettronica e dell'informatica) vanno buttati, non rielaborati e riadattati complicandoli all'inverosimile (per renderli forzatamente idonei a "spiegare" dati sperimentali sempre meno addomesticabili).

Il cervello è una "macchina" enormemente plastica che lavora in modo parallelo e analogico, mentre i computer dal cui studio grossa parte della psicologia cognitiva ha origine, è una macchina digitale e che lavora in modo seriale.

Ad esempio il multitasking, che nel nostro cervello è una realtà, nei computer è simulato dalla loro estrema velocità di esecuzione, ma i computer di allora e di oggi (pur con la recente introduzione di embrioni di elaborazione parallela), restano molto diversi dal meraviglioso organo che fa da supporto hardware alla nostra mente.

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Aggiornamento del 4 giugno 2016

Il gruppo di lavoro sull'ADHD dell'Università della Florida sforna altre evidenze. Articolo interessante: hanno scoperto una cosa che proprio nel corso sulla gestione mentale che sto facendo ci stanno dicendo dall'inizio. Per aiutare la concentrazione e la memorizzazione è utile dichiarare quanto meglio possibile gli obiettivi della lezione. Non mi sorprende che nei bambini etichettati ADHD far questo diminuisca pure i movimenti. Frédéric Rava​​ ci ha fatto fare diversi esercizi per dimostrarci sulla nostra pelle questa "scoperta" della Florida State University. Sono però contentissimo di poter avere un supporto scientifico a questa evidenza. La mia personale critica al modello della memoria di lavoro rimane: la working memory è un modello obsoleto, ormai da buttare, non da modificare all'inverosimile per accordarlo ai dati sperimentali che giorno dopo giorno lo falsificano.

giovedì, febbraio 11, 2016

La dislessia esiste?

La domanda non ha senso. La dislessia probabilmente esiste, ma la scienza non dispensa certezze, e non è in grado di rispondere a nessuna domanda del genere. La scienza è solo in grado di falsificare teorie, ipotesi e deduzioni. Non esiste in ambito scientifico la prova definitiva che una teoria sia "vera". 

Quel che sicuramente non esiste è una definizione condivisa e operativa per individuarla in modo inoppugnabile.

Le domande che dobbiamo porci, che sembrano scontate ma non lo sono, alle quali dobbiamo con onestà e chiarezza interiore rispondere, sono due.

Cosa vuol dire "dislessia"?

E seconda e più importante domanda, come distinguerla, se e quando è distinguibile, dai danni neuronali provocati al cervello da un ambiente educativo non ottimale?

Nessun test di performance (quelli usati per le diagnosi) risponde minimamente a questa domanda. Semplicemente non può rispondere a una meta-domanda sul perché il test stesso viene "sbagliato". In quel momento, da quel bambino.

E nemmeno le bellissime immagini dei neuroscienziati che ci mostrano un cervello "dislessico" funzionare diversamente da un cervello "normale" possiamo affermare che fughino i dubbi.

Dov'è la prova che il funzionamento attuale non sia il frutto di passati stimoli ambientali non ottimali? 

Ad esempio insegnanti pericolosi, troppa tecnologia in tenera età, didattica inadeguata,  esposizione precoce a stimoli sbagliati o ad apprendimenti controproducenti, ecc.

Come esser certi che sia un destino "inevitabile"?

In questa situazione di incertezza dobbiamo applicare, per il bene di ogni bambino, il principio di precauzione.

Dobbiamo quindi investire risorse nella ricerca dei migliori setting che favoriscono il corretto apprendimento della lettura e delle competenze di base.

Tra l'altro sappiamo per certo che esiste il potentissimo effetto pigmalione; dobbiamo quindi difendere i bambini da "narrazioni" negative su di loro (cosa che spesso provoca una diagnosi).

Contornarli di fiducia, senza metter loro fretta, senza criticarli.

Per annullare il confronto sociale negativo che li fa sentire diversi, più lenti, in difficoltà, bisognerebbe:

1) togliere i voti (ma a cosa servono prima delle superiori?! A rendere superbi i bravi e depressi gli altri?! A rassicurare o a preoccupare i genitori?! );

2) Fare classi con alunni di età mista: questo permetterebbe a ognuno di avere, anche in tempi diversi, compagni più bravi da cui imparare e compagni in difficoltà a cui insegnare, senza sentirsi sempre "il più stupido";

3) la didattica dovrebbe essere non giudicante (senza premi o punizioni), ma osservativa (per poter fare i cambiamenti al setting didattico opportuni a favorire l'apprendimento mano a mano che procede;

4) bisognerebbe che l'insegnante fosse formato a intervenire il meno possibile, solo su richiesta dell'alunno, favorendo il naturale bisogno di apprendere di ogni cucciolo d'uomo.

5) bisognerebbe insomma formare autodidatti.

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aggiornato il 4 ottobre 2016

lunedì, gennaio 04, 2016

La matematica va appresa percettivamente

Ho trovato citato in un interessante articolo un passo che riassume in modo chiaro perché la matematica è difficile e perché la didattica utilizzata finora è sbagliata. Oltre a numerose ricerche scientifiche anche la mia esperienza professionale conferma quanto qui riportato.

“… abbiamo scoperto in modo evidente che la matematica è difficile da apprendere, perché la sua comprensione coinvolge sia aspetti geometrico-percettivi (un buon matematico si “immagina” sempre in senso percettivo il significato delle formule che sta scrivendo) sia aspetti simbolico-linguistici.

Le aree cerebrali che sono coinvolte in queste operazioni sono molto distanti tra loro e dunque è necessario allenare il cervello e usarle contemporaneamente.

Spesso invece ai bambini la matematica è presentata in modo puramente “linguistico”, come una lista di istruzioni da memorizzare.

Essendo la memoria linguistica potentissima e durevole, i bambini tendono sin dall’inizio a imparare con poco sforzo la matematica, ma utilizzano una modalità sbilanciata, attivando più gli aspetti linguistici che quelli percettivi.

Quando, però, la quantità di formule da memorizzare diventa eccessiva, la matematica risulta arida e incomprensibile.

Sarebbe, invece, necessario insegnare la matematica ai bambini inviando al loro cervello prima di tutto gli stimoli di tipo percettivo-sensoriale.

Le mani, da questo punto di vista, sono importantissime, perché le aree cerebrali che ci permettono i movimenti delle mani sono molto vicine a quelle che ci fanno percepire le forme geometriche e le quantità approssimate. Come risulta chiaramente dalle più moderne tecniche diagnostiche.” (B. Scoppola, Maria Montessori e la mente matematica)

E già... le mani!

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