Visualizzazione post con etichetta dislessia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dislessia. Mostra tutti i post

giovedì, febbraio 29, 2024

La California mette obbligatorio il corsivo dai 6 ai 12 anni

La California trasforma la scrittura corsiva in legge: quali sono i benefici per il cervello?

di Nafeesah Allen - 22 gennaio 2024

Articolo originale salvato qui: https://web.archive.org/web/20240211184414/https://www.bbc.com/future/article/20240122-california-signs-cursive-writing-into-law-what-are-the-brain-benefits

Dall’inizio del 2024, lo stato della California ha ripristinato l’obbligo che gli alunni dalla prima elementare alla prima media nelle scuole pubbliche imparino a scrivere in corsivo.

La tecnica della scrittura a mano ha smesso di essere insegnata nel Golden State nel 2010, ma ora la California si unisce a quasi due dozzine di stati americani [1] [link aggiunto NdT] che hanno reso obbligatorio in qualche modo l’insegnamento del corsivo. Mentre il corsivo – noto anche [nel mondo anglosassone NdT] come corsivo legato – è stato temporaneamente considerato negli Stati Uniti un’arte in via di estinzione, la decisione della California ha riacceso i dibattiti sia nei circoli educativi che scientifici sul valore reale dell’apprendimento di questo stile di scrittura, sulle implicazioni globali del dismetterlo e ci si pone domande sui suoi potenziali benefici per il cervello.

La neuroscienziata californiana Claudia Aguirre [2] afferma che "sempre più ricerche neuroscientifiche supportano l'idea che scrivere lettere in corsivo, soprattutto rispetto alla dattilografia, può attivare specifici percorsi neurali [3] che facilitano e ottimizzano l'apprendimento generale e lo sviluppo del linguaggio".

Kelsey Voltz-Poremba, assistente professore di occupational terapy presso l'Università di Pittsburgh, aggiunge che i bambini piccoli potrebbero persino trovare il corsivo più facile da imparare e replicare [4]. "Quando la scrittura a mano diventa più autonoma per un bambino, gli consente di dedicare più energia cognitiva verso abilità visuo-motorie più avanzate e di ottenere migliori risultati di apprendimento", afferma.

Allora perché non sono tutti sul carro del corsivo?

Ci sono molte ragioni per cui il corsivo non è stato imposto da tutte le scuole. Sebbene i vantaggi della scrittura manuale siano chiari, la letteratura differisce sul fatto se il corsivo sia specificamente migliore dello stampatello per lo sviluppo del bambino [Questa affermazione è errata; ad oggi non esistono ricerche che abbiano trovato che lo stampatello maiuscolo sia migliore per l'apprendimento, cfr. qui [5] ;  in particolare si veda la ricerca su oltre 700 bambini canadesi consultabile qui [6] dove dei tre gruppi il gruppo con i risultati migliori è risultato quello al quale è stato insegnato per i primi due anni il solo corsivo, il gruppo mediano quello con il solo stampatello, e il peggiore il gruppo al quale era stato insegnato ai bambini il primo anno lo stampatello e il secondo il corsivo, mettendo i bambini in difficoltà a causa del cambio di movimento nella scrittura ancora nella fase di consolidamento della stessa NdT]. Karin James, professoressa di scienze psicologiche e del cervello all'Università dell'Indiana, lavora con bambini dai quattro ai sei anni nella sua ricerca, ricerca che si concentra sulla stampatello piuttosto che sul corsivo. La sua ricerca ha scoperto che l’apprendimento delle lettere attraverso la scrittura a mano [7] attiva reti nel cervello che non vengono attivate digitando su una tastiera, inclusa un’area nota per svolgere un ruolo nella lettura [e questo è un forte indizio di come l'apprendimento della scrittura manuale aiuti ad imparare a leggere, al contrario dell'uso della tastiera NdT]. Anche altre ricerche di Virginia Berninger, professoressa di psicologia dell'educazione presso l'Università di Washington, hanno mostrato che il corsivo, la scrittura stampata e la dattilografia utilizzano funzioni cerebrali correlate ma diverse [8]. Tuttavia l’insegnamento del corsivo per gli alunni molto giovani sta diventando sempre più raro.

L'insegnamento del corsivo negli Stati Uniti inoltre non è standardizzato in tutti i distretti scolastici e nemmeno tra i docenti. Questa incoerenza rappresenta una sfida unica per gli insegnanti. "Quasi due dozzine di stati [9] USA hanno aggiunto un requisito per l'insegnamento della scrittura corsiva per le classi dalla terza alla quinta nei loro standard educativi statali", afferma Kathleen S. Wright, fondatrice e direttrice esecutiva di The Handwriting Collaborative [10], un'organizzazione educativa che insegna approcci basati sulle migliori pratiche per l'insegnamento della scrittura a mano in classe. "Tuttavia questo non è un requisito obbligatorio o finanziato, quindi l'istruzione della scrittura a mano in tutte le varie forme non viene affrontata in modo coerente."

Gli insegnanti della California dovranno capire come integrare al meglio il corsivo nelle classi che in precedenza non lo richiedevano, ma qualsiasi cosa che allontani i bambini dagli schermi [11] [dei dispositivi digitali NdT] potrebbe essere utile.

"Nel nostro programma di scrittura a mano rivolto alla comunità, per giovani in età scolare svolto all'Università di Pittsburgh, abbiamo costantemente genitori che si lamentano che i loro figli hanno difficoltà a scuola e che non è stato insegnato loro a scrivere perché usano principalmente il computer o [un] dispositivo simile", afferma Voltz-Poremba. I movimenti necessari per scrivere sono gli stessi indipendentemente dalla lettera che viene digitata, dice, quindi i bambini vengono privati ​​della possibilità di sviluppare capacità di elaborazione sensoriale che derivano dalla formazione e dalla comprensione delle lettere. Forse si sta tornando sui propri passi semplicemente a causa del periodo in cui viviamo: dopo la pandemia molti bambini usano un laptop o un tablet per i compiti, ma il ritorno alle lezioni in presenza rivela che molti studenti statunitensi mostrano un eccesso di dipendenza dagli schermi [12].

I bambini americani verranno lasciati indietro?

Anche se il legame tra la calligrafia e i risultati ottenuti nella lettura [13] non è necessariamente causale, alcuni educatori temono che abbandonare il corsivo [14] potrebbe significare un arretramento degli Stati Uniti nei risultati scolastici. Un piccolo studio condotto da ricercatori italiani ha scoperto che insegnare il corsivo agli alunni del primo anno della scuola primaria [15] potrebbe migliorare le loro capacità di lettura. [L'autrice dell'articolo evidentemente non conosce il grosso studio canadese su oltre 700 bambini che ho citato in precedenza, si veda ad esempio il post richiamato nella nota [1] circa a metà dell'articolo NdT.]

Anche il Canada ha cercato di eliminare il corsivo, per poi resuscitarlo nel 2023. L’anno scorso, il Ministero dell’Istruzione dell’Ontario ha ripristinato il requisito dell’insegnamento della scrittura corsiva. Gli educatori rimangono curiosi riguardo alle lezioni che l’Ontario ha imparato su come impartire al meglio tale istruzione, quanto dovrebbero durare le lezioni e con quale frequenza dovrebbe essere introdotta la pratica.

Confrontando le classifiche globali 2022 del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA) dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per quanto riguarda i risultati nella lettura dei quindicenni per paese, gli Stati Uniti si sono piazzati al nono posto. Gli studenti americani sono rimasti indietro rispetto ai centri di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM) come Singapore, che era al primo posto, e il Giappone al numero tre.

La scrittura corsiva è ancora ampiamente insegnata nell’Europa occidentale. Spagna, Italia, Portogallo e Francia hanno mantenuto la tradizione. E nel Regno Unito, la scrittura corsiva legata [così in UK viene chiamato il corsivo NdT] viene ancora insegnata nelle aule di inglese. La ricerca Ofsted del governo britannico afferma che "il curriculum nazionale richiede che i bambini imparino la scrittura a mano libera non legata prima di 'iniziare a utilizzare alcuni dei tratti diagonali e orizzontali necessari per unire le lettere' ". [D'altra parte molte scuole private inglesi pubblicizzano sui loro siti l'utilizzo del corsivo legato NdT]

Nel frattempo, la Svizzera [tedesca NdT] insegna solo lo stampatello minuscolo e nel 2016 anche la Finlandia ha rimosso il corsivo dalle sue scuole [andando incontro, la Finlandia, ad un crollo dei risultati dei test OCSE-PISA peggiore del resto del mondo; la Finlandia in "Reading" è passata dai 526 punti del 2015 (4° posto al mondo) ai 490 punti del 2022 (10° posto), ma è crollata anche in "Mathematics" e in "Science", indizio di quanto la scrittura corsiva apporti benefini anche in altri apprendimenti NdT]. Senza precedenti globali, in un modo o nell’altro, i distretti scolastici e i ministeri dell’istruzione in tutto il mondo variano ampiamente da regione a regione.

Vale la pena perdere il corsivo?

Nonostante tutte le incognite, le prove suggeriscono che non ci sono svantaggi nell’imparare il corsivo. La ricerca sulle differenze tra la scrittura a mano e la digitazione mostra che è ancora vantaggioso scrivere con carta e penna, ma i maggiori vantaggi (per la memoria e l’apprendimento delle parole, ad esempio) sono legati all’atto stesso della scrittura [manuale rispetto alla digitazione NdT], non al corsivo rispetto allo stampatello [anche se l'apprendimento del corsivo non solo non è svantaggioso, ma porta notevoli benefici negli apprendimenti rispetto allo stampatello, soprattutto nella prevenzione e nel recupero delle difficoltà di apprendimento della lettoscrittura, si veda ad esempio, fra i tanti esempi possibili, questo articolo dell'Università del Middlesex, in UK, o questo articolo relativo agli USA, Il corsivo viene fortemente consigliato anche dall'Interntional Dyslexia Association, si veda questo articolo tradotto, come pure dalla British Dyslexia Association per la prevenzione e il superamento della dislessia NdT].

L'unico inconveniente possibile è nella percezione. Troppo spesso la scrittura a mano viene contrapposta alla tastiera come un gioco a somma zero, il che non è una proposta giusta. Proprio come nel dibattito su quanto tempo hanno bisogno i bambini durante la ricreazione, gli educatori non devono interrompere completamente un'attività di apprendimento a favore di un'altra altrettanto importante. Al Al contrario Voltz-Poremba propone un approccio del bicchiere mezzo pieno: "È importante trovare un equilibrio per garantire che i giovani di oggi siano preparati con le competenze acquisite senza l'uso della tecnologia", afferma.


NOTE [la descrizione dei link presenti nell'articolo è stata aggiunta NdT]

[1] Ritorno al... corsivo!, post su questo blog dell'aprile 2015 dove si illustra il cambio di rotta in corso nel mondo anglosassone.

[2] Blog personale di Claudia Aguirre, PhD in Neuroscienze.

[3] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel luglio 2020 dal titolo "L'importanza della scrittura corsiva rispetto alla dattilografia per l'apprendimento in classe: uno studio EEG ad alta densità su bambini e giovani di 12 anni"

[4] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel febbraio 2019 dal titolo "Insegnamento della scrittura corsiva nella prima classe della scuola primaria: Effetti sulle abilità di lettura e scrittura"; dall'abstract: "Molti studi supportano l’idea che l’allenamento motorio svolga un ruolo cruciale per aumentare le rappresentazioni mentali delle lettere [...] Questo studio ha indagato l’efficacia dell’insegnamento della scrittura corsiva. [...]  le prestazioni sui prerequisiti e sulle capacità di scrittura e lettura erano complessivamente migliori tra i bambini del gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo."

[5] Elenco di articoli sul corsivo, post su questo blog del marzo 2015 con un elenco non esaustivo degli articoli scientifici sui benefici della scrittura manuale e corsiva.

[6] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel gennaio 2012 dal titolo "Gli effetti degli stili stampatello, corsivo o stampatello/corsivo sullo sviluppo della scrittura nella seconda elementare"; studio svolto su 715 bambini canadesi che ha mostrato la superiorità dell'insegnamento del corsivo fin dalla prima elementare; dall'abstract: "L'obiettivo generale di questo studio è esplorare la relazione tra diversi stili di scrittura e lo sviluppo delle capacità di scrittura tra 715 bambini di seconda elementare. In generale, i nostri risultati mostrano che i tre stili di scrittura (manoscritto/corsivo, manoscritto e corsivo) hanno caratteristiche diverse. effetti sullo sviluppo della scrittura (velocità, qualità, produzione di parole e produzione di testo)."

[7] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel dicembre 2012 dal titolo "Gli effetti dell'esperienza della scrittura a mano sullo sviluppo funzionale del cervello nei bambini pre-alfabetizzati"; dall'abstract: "Questi risultati dimostrano che la scrittura a mano è importante per il reclutamento precoce nell’elaborazione delle lettere delle regioni del cervello note per essere alla base della riuscita nella lettura. La scrittura a mano quindi può facilitare l'acquisizione della lettura nei bambini piccoli."

[8] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel giugno 2010 dal titolo "Sviluppo iniziale della lettoscrittura a mano: connessioni di composizione, lettura, ascolto e conversazione; Tre modalità di scrittura delle lettere; e mappatura veloce nell'ortografia"; lo studio analizza i diversi risultati di apprendimento di bambini dai 5 ai 10 anni ao quali sono stati insegnati tre modalità differenti di scrittura a mano: la digitazione di una tastiera, la scrittura manuale in stampatello e quella in corsivo.

[9] I 23 Stati che richiedono la scrittura corsiva (aggiornato!), post sul blog dedicato al corsivo mycursive.com

[10] Sito del gruppo "The Handwriting Collaborative"; dalla pagina di presentazione: "Istruzioni di scrittura a mano allineate alla scienza della lettura e della scrittura - The Handwriting Collaborative è un'organizzazione di specialisti del curriculum, educatori, ricercatori e terapisti scolastici. Forniamo formazione per lo sviluppo professionale nell'insegnamento delle migliori pratiche di scrittura a mano e consulenza su strategie di intervento basate sulla ricerca per migliorare l'espressione scritta."

[11] Articolo della BBC intitolato "Perché non tutto il tempo trascorso davanti allo schermo è uguale per i bambini", sui danni che il tempo sprecato davanti ad uno schermo provoca ai bambini. 

[12] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel febbraio 2023 dal titolo "Tendenze nell’utilizzo del tempo davanti allo schermo tra i bambini durante la pandemia di COVID-19, da luglio 2019 ad agosto 2021".

[13] Ricerca scientifica peer reviewed pubblicata nel giugno 2021 dal titolo "Gli effetti dell'esperienza della scrittura a mano sull'apprendimento dell'alfabetizzazione"; dall'abstract: "I nostri risultati mostrano chiaramente che la scrittura a mano rispetto alla pratica non motoria produce un apprendimento più rapido e una maggiore generalizzazione ai compiti non allenati rispetto a quanto riportato in precedenza."

[14] Articolo sul sito della National Education Association dal titolo "Il grande dibattito sulla scrittura corsiva" che riporta come "Per quanto riguarda il corsivo, i sostenitori sottolineano i numerosi studi che hanno dimostrato che l’apprendimento del corsivo non solo migliora la memorizzazione e la comprensione, ma coinvolge il cervello a un livello profondo mentre gli studenti imparano a unire le lettere in un flusso continuo. Migliora anche la destrezza motoria e dà ai bambini un'idea migliore di come funzionano le parole in combinazione."

[15] Ricerca scientifica italiana peer reviewed pubblicata nel febbraio 2019 dal titolo "Insegnamento della scrittura corsiva nella prima classe della scuola primaria: Effetti sulle abilità di lettura e scrittura"; dalla discussione finale dei risultati: "I risultati hanno rivelato che i cambiamenti nelle capacità di lettura e scrittura variavano in funzione del tipo di formazione ricevuta. [...] il gruppo di intervento ha ottenuto prestazioni migliori sia nella capacità ortografica che nelle unità fondamentali del testo. Questi risultati sono in accordo con la letteratura nell’affermare che lo sviluppo di una scrittura più fluente con abilità grafo-motorie durante le prime fasi dell’apprendimento della scrittura consente agli studenti di raggiungere livelli di accuratezza migliori per le caratteristiche ortografiche. [...]  Il risultato più interessante relativo all’apprendimento della scrittura corsiva sono i dati relativi alla fluidità della scrittura. Gran parte della letteratura sostiene l’idea che i bambini con una scrittura più fluente nelle prime fasi dell’apprendimento mostrano migliori capacità di scrittura in termini di ortografia e maggiori capacità di composizione del testo. I nostri risultati supportano la letteratura sottolineando la relazione tra abilità grafiche e ortografiche. Questa relazione è osservata e supportata da altri studi, che mostrano il contributo di questa variabile rispetto alle abilità cognitive di scrittura più complesse. Abbiamo anche osservato che le capacità di scrittura del gruppo di intervento sono cambiate radicalmente nel corso dell'anno scolastico, mostrando risultati migliori di quelli previsti dalle consuete tendenze evolutive. Questi risultati dimostrano come i bambini possano migliorare non solo le competenze di base, ma anche le successive capacità di apprendimento grazie alla formazione dominio-specifica svolta nell’ambito dell’apprendimento grafo-motorio. Il nostro studio supporta lavori recenti che dimostrano come i miglioramenti nelle caratteristiche della scrittura strumentale possano verificarsi con l'insegnamento e la pratica quotidiana diretta ed esplicita, in particolare durante le prime fasi del percorso scolastico."


[Traduzione e note tra parentesi quadre aggiunte dal sottoscritto.]



giovedì, maggio 23, 2019

Lettera aperta contro la modifica in peggio della già discutibile L.170/2010

La seguente lettera è stata resa pubblica sul profilo Facebook dell'autrice principale. Enfasi in grassetto aggiunte dal sottoscritto.

Buonasera caro legislatore...
di Michela Vandelli



Buonasera,
intanto la ringrazio di avermi concesso la possibilità di poterle scrivere.

Come vede dalla firma in calce, sono un'esperta nei processi d'apprendimento. Lavoro con una collega nel polo educativo che abbiamo creato diversi anni fa e seguo molti bambini che presentano difficoltà scolastiche e DSA, moltospesso già segnalati a scuola e con diagnosi.

Il mio lavoro è nato da una dura esperienza personale con i miei tre figli, quindi la mia visione è doppia e si è formata nel corso del tempo, prima come mamma e poi come esperta in materia. La proposta di modifica della legge 170/10 qui di seguito

contiene a mio parere, diversi punti critici che allontanano il tema della dislessia e delle difficoltà di questi bambini dal luogo dove dovrebbero rimanere: la scuola e l’educazione.

Mi occupo di potenziamento e nello specifico delle fragilità dei bambini della primaria, che arrivano da noi con difficoltà "segnalate" dalla scuola, e assisto a dei bei cambiamenti oggettivi che determinano nel tempo miglioramenti evidenti anche in caso di disturbo specifico d’apprendimento.

Vedo bambini cambiare ANCHE dopo l'età minima utile per poter emettere diagnosi di DSA, che sarebbe, per il primo step (in caso di dislessia e disortografia) la fine della seconda primaria, eho visto anche diagnosi rientrare in parametri non più segnalabili, dimostrando di fatto che è possibile modificare le difficoltà attraverso un lavoro specifico e mirato, che tuttavia a scuola NON avviene.

I piccoli potenziamenti che vengono fatti in ambito scolastico (e non sempre) avvengono per un tempo troppo breve (10 ore) e non sono in grado di incidere nel modo giusto. A volte occorrono mesi e, spesso, occorre dare il giusto tempo ai piccoli per crescere, tempo sacrosanto che la scuola difficilmente è in grado di concedere.

La proposta di legge in oggetto vorrebbe anticipare la tempistica diagnostica di ben 2 ANNI, rilevando un'eventuale "fragilità" già nell'ultimo anno della scuola dell'infanzia, senza nessuna esposizione alla letto-scrittura da parte dei bambini.

Seppur sia vero, come stabilisce il documento della Consensus Conference 2010, che i bambini di 5 anni che risultano al di sotto del 10° percentile in diversi test riferibili al linguaggio, hanno un rischio 6 volte maggiore di sviluppare un eventuale DSA, è anche vero che NON sempre un bambino con DSA presenta difficoltà di linguaggio; basti pensare alla discalculia e alla disgrafia.

È vero invece che i problemi di linguaggio vengono già individuati dalle maestre, e inviati per un consulto logopedico.

Individuando tanto precocemente alcuni "fattori di rischio", bisogna poi essere in grado di fornire delle risposte sul territorio per permettere il recupero completo, risposte che molto spesso l'ASL non è in grado di fornire.

Attualmente le ASL prendono in carico SOLAMENTE i casi più gravi, che arrivano comunque attraverso le osservazioni delle maestre della scuola materna e primaria. E molto spesso con tempi di presa in carico a dir poco biblici.

Cosa si vuole, orientare ai privati?


Vorrei ricordare, infine, che a stabilire l'età minima di accesso alla diagnosi è stata la Consensus Conference e le successive leggi regionali, poiché probabilmente gli esperti hanno ritenuto che per stabilire con certezza la presenza di un DSA fosse utile aspettare un tempo idoneo che dovrebbe essere dedicato AL POTENZIAMENTO DIDATTICO, come espresso nel documento che segue:

Individuare segnali di difficoltà in ambito di letto-scrittura SENZA nessuna esposizione, mi sembra oltremodo affrettato e rischioso, e molti di quelli che, come me, fanno questo mestiere, iniziano a chiedersi se davvero questa medicalizzazione già eccessiva di suo, sia la cosa migliore per i nostri bambini.

Molto spesso, poi, dopo la diagnosi, i SOLI strumenti compensativi e le misure dispensative non sono sufficienti ad aiutare un bambino in difficoltà, mentre il potenziamento produce dei cambiamenti che determinano una differenza nelle abilità di base, che permettono molto spesso di poter gestire la difficoltà nel futuro.

Sulla scuola dell'infanzia ci sarebbe poi tutta una riflessione da fare relativa a ciò che effettivamente si fa per sviluppare i prerequisiti necessari per l'apprendimento, che a mio parere sono parecchio carenti in troppe realtà scolastiche.

I numeri in aumento delle difficoltà porterebbero a ipotizzare che non sia possibile ci sia solo ed unicamente una condizione genetica alla base. Se i fattori di rischio prevedono comunque un’interazione con l'ambiente poiché un DSA si sviluppi, forse si potrebbe e dovrebbe pensare, di cominciare a modificare l'ambiente in cui i bambini apprendono e la modalità che si utilizza per insegnare.

Il potenziamento, richiamato ANCHE nelle linee guida della Consensus Conference, sarebbe una risorsa importante e doverosa per la crescita dei piccoli. Un congruo periodo di potenziamento è previsto come fondamentale dalla Consensus Conference, se un potenziamento infatti conduce a un miglioramento NON si può parlare di DSA.

Inoltre ci sono esperti, come la prof.ssa Daniela Lucangeli e il prof. Cornoldi, che affermano che tale concetto è problematico poichè si dà per scontato spesso che la scuola abbia effettuato tale periodo di potenziamento senza miglioramenti.
  
Si tratterebbe pertanto di un lavoro di potenziamento didattico specifico e mirato che dovrebbe fare la scuola stessa, e che invece è previsto solamente in misura ridotta e fino a poco tempo fa completamente assente nonostante le indicazioni stesse della Consensus Conference.

Il rischio CONCRETO è di PATOLOGIZZARE qualsiasi difficoltà.

Nelle Linee Guida allegate al Decreto attuativo della Legge 170 (Decreto ministeriale 12 luglio 2011) si ricorda che “gli insegnanti possono 'riappropriarsi' di competenze educativo-didattiche anche nell’ambito dei DSA, laddove lo spostamento del baricentro in ambito clinico aveva invece portato sempre più a delegare a specialisti esterni funzioni proprie della professione docente o a mutuare la propria attività sul modello degli interventi specialistici, sulla base della consapevolezza della complessità del problema e delle sue implicazioni neurobiologiche. Ora, la complessità del problema rimane attuale e la validità di un apporto specialistico, ovvero di interventi diagnostici e terapeutici attuati da psicologi, logopedisti e neuropsichiatri in sinergia con il personale della scuola non può che essere confermata; tuttavia – anche in considerazione della presenza sempre più massiccia di alunni con DSA nelle classi – diviene sempre più necessario fare appello alle competenze psicopedagogiche dei docenti‘curricolari’ per affrontare il problema, che non può più essere delegato tout court a specialisti esterni ”.

La successiva circolare Ministeriale n° 8 del 2012 in tema di “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” sembra rafforzare di fatto il concetto espresso sopra dell’importanza centrale della scuola in tema di alunni in difficoltà.

Nella proposta di MODIFICA (qui) sembrerebbe menzionato solo un eventuale "laboratorio", ma sembra una parte piuttosto vaga, senza nessun criterio specifico per definire quel “laboratorio” né le eventuali finalità, mentre le altre parti mi sembrano decisamente più chiare.

Le sanzioni agli insegnanti , per esempio, allontanano sempre di più la scuola e i docenti stessi dal ruolo primario e centrale che dovrebbero avere, proprio nei riguardi di chi fa più fatica.

Non è un PDP, che contiene spesso misure standard (e le assicuro che ne vedo tanti) in base al codice diagnostico, che DA SOLO determina differenze sostanziali.

Molto spesso la scuola in questo dover compilare e crocettare si ritrova “annegata” da qualcosa di più simile ad un atto formale, di quanto sia e dovrebbe essere impegnata nella sua azione didattica; è questa la scuola che si vuole?
Davvero si vuole credere che deliberare sanzioni servirà ad avvicinare scuola, insegnanti e famiglie nell'azione educativa che dovrebbe essere comune per il bene dei piccoli?

A mio parere la si allontana solamente, e la si allontana ancora di più proprio nei confronti di chi ha più bisogno. E la distanza è già fin troppo ampia, chi lavora nella scuola lo vede tutti i giorni.

L' indennità di frequenza contenuta in questa proposta, poi, è una misura ispirata dall'ambito dell'invalidità (legge 289/90) nata in origine per i deficit sensoriali come la sordità, adattata ai DSA attraverso azioni legali che hanno stabilito un precedente, e concessa con profonde differenze regionali.

È una Legge che stabilisce comunque una condizione di "invalidità" ridefinita poi come “difficoltà persistente a svolgere i compiti tipici dell’età”, che comunque richiede una visita MEDICA in commissione INPS, che non ha nulla a che fare con i bambini che presentano difficoltà scolastiche o DSA, bambini che CRESCONO E CAMBIANO, e che una volta al di fuori della scuola non hanno nessun problema di tipo lavorativo. Sono invece molto spesso brillanti, con quozienti intellettivi nettamente superiori alla norma, e hanno risorse fuori dal comune.

Sempre nelle Linee Guida allegate al Decreto attuativo della Legge 170 si sottolinea che “per la peculiarità dei Disturbi Specifici di Apprendimento, la Legge apre, in via generale, un ulteriore canale di tutela del diritto allo studio, rivolto specificamente agli alunni con DSA, diverso da quello previsto dalla legge 104/1992 ”. Con tale passaggio si vuole chiarire che i DSA sono ALTRO rispetto alla disabilità e all'invalidità.

Pertanto, se si vuole aiutare le famiglie si pensi piuttosto a un contributo staccato dalla procedura dell'indennità di frequenza, anche se ho la profonda convinzione che se si agisse DAVVERO sulla scuola
  1. abbassando in primis il numero di alunni per classe,
  2. attivando un buon potenziamento anche fino alla fine della scuola primaria, magari con la logica dell’aiuto tra pari che sembra essere una buona misura per i bambini in difficoltà,
  3. inserendo linee guida più specifiche per l'insegnamento della letto-scrittura, come presenti in altri paesi europei,
  4. mettendo nelle condizioni migliori i docenti di fare BENE il loro mestiere,
non ci sarebbe bisogno di pensare né a leggi come la 170/2010, né a una sua eventuale modifica in peggio.

La prego, si pensi alla scuola e all'ambiente in cui questi bambini possono o meno sviluppare un disturbo specifico d'apprendimento. La scienza dice che l’ambiente modifica anche i geni (epigenetica), e la plasticità celebrale è nota e ormai riconosciuta dal mondo scientifico.

A disposizione per ogni chiarimento, la saluto cordialmente.
Michela.
Esperta nei processi d’apprendimento
iscritta all’albo dei professionisti formati da
Erickson, Game trainer, Tutor, Aiuto compiti.

domenica, gennaio 06, 2019

Mio figlio scrive al contrario (video)

MIO FIGLIO SCRIVE AL CONTRARIO



Il video presente su Facebook lo accenna solo per una attimo, ma è importantissimo e mi premo di esplicitarlo. 

Le ricerche neuroscientifiche ormai concordano che è la memoria MOTORIA, in particolare del movimento fine della mano che scrive, che permette di riconoscere, anche mentre si legge, con maggiore facilità le lettere che possono essere confuse in fase di apprendimento della letto-scrittura. Si aggiunga a questo che l'allenamento alla motricità fine della mano è correlato sia alle competenze di letto-scrittura sia a quelle logico-matematiche.

È per questa combinazione di motivi, ormai accertati in letteratura in diversi modi, che la scrittura è molto importante (purtroppo a scuola i bambini di oggi scrivono molto MENO di quelli del passato), e soprattutto è importante la scrittura in CORSIVO, perché le singole lettere, in particolare quelle facili da confondere in lettura e scrittura, in corsivo si debbono scrivere con un UNICO GESTO motorio, cosa che non è spesso possibile con lo stampatello maiuscolo. 

È quindi un errore (e un ORRORE) il non insegnare fin da subito ai bambini il corsivo. È importante infatti già nei primi mesi della prima elementare (meglio se già dall'infanzia) allenare la mano ai gesti necessari al corsivo (pregrafismi) e iniziare fin da subito a stabilizzare nei bambini il collegamento tra fonema, grafema corsivo (solo questo!) e movimento scrittorio della mano.

A conferma dell'importanza di non insegnare più di una tipologia di grafema prima che i meccanismi di letto-scrittura siano stabilizzati nella mente del bambino vi è ad esempio una ricerca canadese, svolta su ben 700 alunni seguiti per due anni ed effettuata senza modificare artificialmente le metodologie di insegnamento delle insegnanti. Tale ricerca ha rilevato che ai bambini ai quali per i primi due anni della scuola primaria è stato insegnato una sola tipologia di grafema (solo il corsivo o solo lo stampatello) hanno al termine dei due anni tutti gli indicatori migliori in modo statisticamente significativo rispetto ai bambini ai quali sono stati insegnati entrambi le tipologie di grafemi (evidentemente non hanno potuto stabilizzare il gesto grafico e il collegamento neurale tra fonema, grafema corsivo e movimento scrittorio della mano). La stessa ricerca ha determinato la superiorità del corsivo rispetto allo stampatello in molti degli indicatori rilevati al termine dei due anni (lunghezza dei periodi, velocità di scrittura, correttezza ortografica, correttezza sintattica, ecc. ). 

martedì, maggio 01, 2018

Dibattito sulla dislessia: i miti principali

Il testo qui riprodotto è la traduzione di un articolo apparso nel maggio 2014 sul periodico dell'associazione Learning Difficulties Austrialia. L'articolo ha un taglio divulgativo, e rimanda al libro The Dyslexia Debate per una puntuale analisi delle numerose e convincenti ricerche scientifiche che dimostrano la problematicità dell'approccio medicalizzante nei confronti delle difficoltà di apprendimento.


Dibattito sulla dislessia: alcuni miti chiave

di Julian Elliott
(direttore del Collingwood College e ordinario di pedagogia all'Università di Durham)
Nel nostro libro The Dyslexia Debate, recentemente pubblicato da Cambridge University Press, Elena Grigorenko ed io abbiamo cercato di fornire un dettagliato esame di cosa si intenda per dislessia, nei suoi termini concettuali, operativi e rilevanti per la valutazione e l'intervento.
Per raggiungere questo obiettivo abbiamo richiamato conoscenze esistenti su un certo numero di discipline collegate: genetica, neuroscienze, psicologia e pedagogia. La nostra conclusione era che il termine dislessia non avesse piu valore per la ricerca scientifica o per la pratica didattica, e di conseguenza abbiamo raccomandato che questo termine non fosse più utilizzato. Al suo posto si dovrebbe usare un più dettagliato resoconto della specifica modalità di lettura e delle difficoltà associate.
Siccome il libro adotta un approccio fortemente scientifico che non ne rende facile la lettura da parte del non specialista, nell'articolo che è riprodotto di seguito ho cercato di delineare alcune delle questioni chiave e delle conseguenti implicazioni per la pratica didattica e clinica.


Alla ricerca di una diagnosi: cinque miti chiave sulla dislessia

Molti bambini faticano ad imparare a leggere, ed alcuni sperimentano problemi di alfabetizzazione durante tutta la loro vita.
Quando queste difficoltà diventano evidenti la reazione comune di chi osserva si sviluppa entro queste linee: "Forse tuo figlio soffre di dislessia. Sarebbe saggio sottoporlo ad un controllo".
Quando viene diagnosticata la dislessia, la reazione dei genitori è spesso: "Grazie al cielo la vera natura del problema di mio figlio è stata finalmente scoperta. Magari fosse stato diagnosticato prima, ma almeno ora avremo il tipo giusto di aiuto di cui mio figlio ha bisogno.”
Celate dietro queste credenze si possono individuare una serie di miti:
  • Mito A: la dislessia è uno specifico tipo di problema che si trova solo in una parte dei bambini che hanno difficoltà a decodificare il testo.
  • Mito B: sono necessari esami speciali per identificare quali di questi bambini sono dislessici e quali sono solo cattivi lettori.
  • Mito C: diagnosticare la dislessia eviterà il rischio di falsi giudizi di pigrizia o stupidità.
  • Mito D: una diagnosi di dislessia aiuterà gli insegnanti a scegliere i modi più efficaci per intervenire.
  • Mito E: una diagnosi di dislessia dovrebbe comportare, giustamente, l'assegnazione di speciali misure (in particolare agli esami) e di risorse aggiuntive.
La realtà è che ciascuna di queste credenze è controversa.

Mito A: la dislessia è uno specifico tipo di problema che si trova solo in una parte dei bambini che hanno difficoltà a decodificare il testo.

Mentre molte persone presumono che gli specialisti siano d'accordo su cosa si intenda con il termine dislessia, la realtà è che essa è intesa in molti modi differenti. Non sorprende affatto quindi che le stime dell'incidenza della dislessia spesso variino dal 4 al 20 per cento della popolazione.Al di là di un accordo circoscritto su cosa sia la decodifica di un testo, la questione inizia a complicarsi. Per alcuni la dislessia si riferisce semplicemente a tutti coloro che sperimentano particolare difficoltà nella decodifica del testo. Identificare questo problema in un individuo è relativamente facile e gli insegnanti del bambino dovrebbero essere in grado di farlo attraverso le osservazioni in classe e le canoniche verifiche di lettura. Altri suggeriscono, tuttavia, che non tutti coloro che faticano a leggere siano dislessici e per questo motivo sia necessaria una valutazione clinica dettagliata per identificare quali tra i cattivi lettori abbiano la dislessia e quali no. A volte quest'ultimo gruppo è considerato avere una “normale” difficoltà di lettura. Come dimostrato nel libro The Dyslexia Debate, le assunzioni di base per selezionare un sottogruppo dislessico da un bacino più ampio di cattivi lettori sono altamente problematiche. Mentre un certo numero di sintomi si trovano spesso in campioni composti da cattivi lettori, non è del tutto chiaro quali di questi sintomi potrebbe essere necessario per una diagnosi di dislessia.
Alcuni sostengono sia un grave errore associare la dislessia "unicamente" a una decodifica difficoltosa, poiché la dislessia comporterebbe problemi con diverse abilità scolastiche quotidiane, e con abilità organizzative e di autoregolazione. In effetti secondo molti medici è possibile avere la dislessia anche quando le competenze di alfabetizzazione sono solide. Tale posizione complica enormemente le cose e apre le porte per richieste di risorse e speciale assistenza. Agli studenti universitari con diagnosi di dislessia per esempio, la cui lettura è relativamente solida, può essere consentito richiedere un aiuto relativo ad abilità di studio più generali come organizzare e strutturare i compiti scritti. [In Italia in ambito universitario solitamente viene accordato più tempo per lo svolgimento di compiti scritti, tra i quali le prove di selezione per i concorsi e i test di accesso ai corsi universitari a numero chiuso NdT]
Tali differenze di opinione rendono controverso qualsiasi suggerimento per fare in modo che le diagnosi di dislessia possano essere tra loro coerenti, significative e valide. Le diagnosi possono essere le benvenute, ma difficilmente possono essere considerate scientifiche.
Alcuni dei tanti modi in cui la dislessia è intesa da ricercatori, medici e insegnanti possono essere trovati nella seguente lista. Il libro The Dyslexia Debate spiega in dettaglio i problemi associati a queste concezioni.

  • Chiunque sia in difficoltà nella decodifica accurata di una singola parola.
  • Chiunque sia in difficoltà nella decodifica accurata e/o fluente.
  • Quelli per i quali la decodifica è semplicemente un elemento di una condizione dislessica più pervasiva, caratterizzata da una gamma di caratteristiche in comorbilità. Questo può includere i cosiddetti "dislessici compensati" che non presentano più difficoltà di lettura.
  • Coloro che in un appropriato test di lettura totalizzano il punteggio più basso nella distribuzione statistica normale. Il punteggio limite può variare notevolmente e in genere varia dal 5 al 20 per cento. [In Italia esistono situazioni diversificate: per alcune prove diagnostiche la soglia di accettabilità è fissata al 5° percentile, per altre a -2ds, cioè a meno due deviazioni standard dal valore medio per la popolazione NdT]
  • Coloro le cui difficoltà di decodifica non possono essere spiegate in modi alternativi (ad es. a causa di una grave compromissione intellettiva o sensoriale, di uno svantaggio socio-economico, di una scarsa istruzione o di una difficoltà emotiva/comportamentale).
  • Quelli per i quali esiste una discrepanza significativa tra la prestazione nella lettura e il QI.
  • Quelli la cui difficoltà di lettura è inaspettata.
  • Quelli la cui pessima lettura contrasta con la capacità in altri campi intellettuali e scolastici.
  • Quelli i cui problemi di lettura sono determinati biologicamente.
  • Coloro i cui problemi di lettura sono contrassegnati da determinate difficoltà cognitive associate (in particolare: problemi fonologici, deficit di denominazione rapida [tramite i cosiddetti test RAN - Rapid automatized naming NdT] e di memoria verbale).
  • Quei cattivi lettori che presentano anche una serie di sintomi che si trovano comunemente nei dislessici (ad esempio: scarsa abilità motorie, aritmetiche o linguistiche, difficoltà visive e bassa autostima).
  • Coloro che dimostrano una discrepanza tra la lettura e la comprensione dell'ascolto.
  • Coloro che non riescono a compiere progressi significativi nella lettura anche se sottoposti a forme di intervento di alta qualità e di provata efficacia.

Mito B: sono necessari esami speciali per identificare quali di questi bambini sono dislessici e quali sono "solo cattivi lettori".

Uno dei più grandi miti associati alla dislessia è che essa dovrebbe essere
definita in relazione all'intelligenza.
La cosiddetta "diagnosi per discrepanza" riconosce come autentici dislessici solo quelli il cui livello di lettura è significativamente peggiore di quanto ci si aspetterebbe sulla base della loro intelligenza (tipicamente misurata da un test del QI).
La ricerca negli ultimi 20 anni ha dimostrato la follia di questa convinzione.
È sconcertante che mentre la diagnosi per discrepanza è stata screditata (e non è più sostenuta dalle associazioni dei dislessici [in Italia sono sostenute entrambe le posizioni NdT]) essa è ancora ampiamente utilizzato da chi fa le diagnosi.
Nel nostro libro delineiamo le ragioni di un tale atteggiamento:
  1. Il legame tra QI e dislessia ha una lunga storia e attualmente è intriso di pregiudizi diffusi che non sono facili da ribaltare.
  2. Quelli con QI che li colloca nell'1% più basso della popolazione (e che solitamente faticano per restare nella scolarizzazione tradizionale a causa delle loro difficoltà intellettuali) spesso incontrano problemi nell'apprendimento della lettura.
  3. Il QI è spesso utilizzato come criterio quando si selezionano i "dislessici" per le ricerche accademiche. Questa selezione tuttavia viene solitamente effettuata per isolare i fattori cognitivi sottostanti, fattori che altrimenti potrebbero non essere facilmente rivelati, non perché questo debba essere considerato un criterio diagnostico significativo.
  4. Alcuni sostengono il continuo uso del QI nella valutazione della dislessia a causa di una avvertita mancanza di procedure alternative. Una tale posizione ovviamente è ingiustificabile.
  5. I test del QI sono stati a lungo utilizzati negli Stati Uniti e in molti altri paesi per stabilire la necessità di aiuti educativi aggiuntivi. Pratiche di lunga data come queste non sono facili da eliminare.
  6. Esiste una chiara relazione tra QI e abilità di lettura di ordine superiore quali inferenza, deduzione e comprensione del testo. Pertanto i test del QI possono essere utili per fornire una comprensione delle difficoltà di apprendimento più generali.
  7. La somministrazione e la gestione dei test del QI è riservata a determinati professionisti [in Italia neuropsichiatri e psicologi NdT] e ha quindi un ruolo importante nel mantenimento e nella salvaguardia dell’autorevolezza e dello status professionale. 
  8. L'errata concezione secondo cui i dislessici sono tutti individui altamente intelligenti che hanno solo problemi con la decodifica dei testi scritti (di per sé un compito cognitivo di basso livello) può dimostrarsi una idea forte e liberatoria.
Alcuni sostengono che mentre i test del QI sono inappropriati per una diagnosi di dislessia, altri test dei processi cognitivi sottostanti (ad esempio quelli relativi alla memoria di lavoro o alla denominazione rapida) possono essere impiegati per aiutare a diagnosticare la dislessia. Il libro The Dyslexia Debate esamina questo problema nel dettaglio mostrando che studi sull'argomento hanno fornito risultati contrastanti con un valore limitato nella progettazione di forme efficaci di intervento per migliorare la lettura. Le nostre attuali conoscenze indicano che in generale è meglio concentrarsi direttamente sulle abilità scolastiche piuttosto che cercare di migliorare i processi sottostanti.


Mito C: diagnosticare la dislessia eviterà il rischio di falsi giudizi di pigrizia o stupidità.

Molti cattivi lettori sono stati indebitamente feriti dall'essere trattati come privi di intelligenza e una diagnosi di dislessia sembra spesso un modo efficace per contrastare questo fenomeno. Il vero problema da affrontare tuttavia non è che la dislessia non sia stata identificata in precedenza, ma piuttosto che le ipotesi di scarsa intelligenza siano state fatte sulla base delle capacità di lettura. In realtà il QI e la capacità di decodifica sono in gran parte non correlate e per questo motivo gli insegnanti devono assicurarsi che le scarse competenze di alfabetizzazione non si traducano in richieste di classe che non riflettono le vere capacità intellettuali del bambino.
L'accusa di indolenza è invece più problematica. Certamente molti bambini diventeranno meno motivati ​​e impegnati a scuola nel momento in cui faticano nell'affrontare l'apprendimento della lettura. In questi casi alcuni insegnanti potrebbero descrivere il bambino come pigro. Questo termine ha un tono dispregiativo che non è utile ed è certamente meglio evitarlo. Il compito chiave è incoraggiare il lettore in difficoltà a massimizzare lo sforzo anche quando non sono subito evidenti significativi miglioramenti.
Un particolare rischio di usare il termine dislessia per contrastare l'attribuzione di pigrizia è che questo giudizio di pigrizia potrebbe essere visto come una descrizione appropriata per i bambini con difficoltà nella lettura ai quali non è stata fatta una diagnosi di dislessia.
In definitiva usare il termine dislessia per evitare che un bambino sia impropriamente etichettato come pigro o stupido significa non riuscire ad affrontare il vero problema dei giudizi negativi inappropriati.


Mito D: una diagnosi di dislessia aiuterà gli insegnanti a scegliere i modi più efficaci per intervenire.

È diffusa la convinzione che una diagnosi di dislessia possa aiutare a individuare forme appropriate di intervento educativo. Questo è completamente sbagliato. Non esistono trattamenti efficaci per coloro che siano giudicati colpiti da dislessia che differiscano dalle pratiche accettate per tutti i bambini con difficoltà nella decodifica. Ciò che è chiaramente provato è che l'uso estensivo dei cosiddetti approcci "a tutto campo", cioè didattiche che minimizzano il ruolo dell'insegnamento fonetico strutturato e mirato come elemento chiave di un programma di alfabetizzazione più generale, è inappropriato per i bambini con difficoltà nella lettura. Una notevole quantità di prove scientifiche ha chiaramente dimostrato che coloro che hanno difficoltà ad acquisire capacità di lettura, rispetto ai coetanei che leggono normalmente, richiedono in genere sulla lettura una didattica più individualizzata, più strutturata, più esplicita, più sistematica e più intensa.
Ricerche scientifiche di alta qualità che cercano di individuare modalità per affrontare gravi difficoltà di lettura spesso si riferiscono ai loro partecipanti come a dislessici, ma nella grande maggioranza dei casi questo termine viene usato come descrittore generico senza differenziazione tra dislessici e altri bambini con difficoltà di decodifica.
Ad oggi gli studi scientifici accumulati finora non hanno supportato l’idea che i bambini con gravi difficoltà di lettura (che siano considerati dislessici o meno) possano essere aiutati in modo significativo dall'uso di:
  • esercizi fisici o allenamento motorio percettivo (a volte etichettato in modo fuorviante come "basato sul cervello" [ad esempio: psicomotricità NdT]),
  • lenti colorate o sovrapposizioni,
  • terapie relative alla visione,
  • programmi di allenamento uditivo,
  • integratori di acidi grassi (ad es. olio di pesce), e
  • retroazione biologica [biofeedback NdT]

Mito E: una diagnosi di dislessia dovrebbe comportare, giustamente, l'assegnazione di speciali misure (in particolare agli esami) e di risorse aggiuntive.

Sono qui presenti due problemi chiave. In primo luogo c'è la questione dell'imparzialità e dell'equità. Ci sono sicuramente molti cattivi lettori che, per le più varie ragioni, è più difficile riescano ad essere etichettati come dislessici. Il mito E risulta particolarmente problematico quando provoca una mancanza di aiuti adeguati a coloro che non ricevono una diagnosi di dislessia.
In secondo luogo, dato che le fondamenta di una diagnosi di dislessia sono altamente discutibili, allocare risorse su basi non scientifiche è ingiustificabile.
Piuttosto che basarsi su una diagnosi di dislessia, le risorse specialistiche dovrebbero essere strettamente legate all'andamento nel tempo dell'acquisizione e dello sviluppo di specifiche abilità di alfabetizzazione. Un approccio sempre più seguito per aiutare i bambini con varie tipologie di difficoltà di apprendimento (lettura inclusa), è noto come Risposta all'intervento [Response To Intervention, abbreviato in “RTI” NdT]. Questo tipo di interventi iniziano immediatamente appena un bambino ha difficoltà scolastiche. Ciò è preferibile piuttosto che aspettare che il bambino continui ripetutamente a fallire e infine, alla luce di tali fallimenti, sollecitare una valutazione nella speranza di ottenere una (discutibile) diagnosi. Secondo il modello teorico della “risposta all'intervento (RTI), il tipo di intervento utilizzato dovrebbe essere corroborato da risultati scientifici di alta qualità e la quantità e la natura dell'aiuto fornito dovrebbero essere determinate in gran parte sulla base della risposta del bambino nel corso degli appositi interventi.

Conclusioni

Chiunque osservi l'angoscia di un bambino che lotta per leggere, sicuramente reagirà con un misto di tristezza e solidarietà. Per i genitori di questi bambini il dolore e la mortificazione saranno spesso aggravati da un senso di frustrazione, di impotenza e di incertezza su come poter aiutare. Una cosa che molti genitori sentono di poter fare è premere in qualche modo a favore del loro bambino. In tali circostanze non sorprende che così tante famiglie sollecitino una valutazione della dislessia con tutti i vantaggi che essa promette. Tuttavia, come il libro The Dyslexia Debate dimostra, i genitori vengono ingannati affermando che tali valutazioni sono scientificamente rigorose e che una diagnosi indicherà forme di trattamento più efficaci.
È sicuramente giunto il momento di adottare un approccio più scientifico che garantisca che tutti i bambini che incontrano difficoltà di alfabetizzazione ricevano l'aiuto di cui hanno bisogno.


Julian Elliott è direttore del Collingwood College e ordinario di pedagogia all'Università di Durham.
Email: joe.elliott@durham.ac.uk


Dal Bollettino di LDA,
Volume 46, nn° 1 e 2 maggio 2014
Learning Difficulties Australia ₋ http://www.ldaustralia.org
Per ulteriori informazioni contattare: enquiries@ldaustralia.org


Articolo originale pubblicato qui:


Traduzione di Stefano Longagnani
(il colore di alcune parti di testo modificato dal traduttore).

NdT: il testo The Dyslexia Debate è presentato in questo post.

lunedì, ottobre 24, 2016

Perché perdere tempo con il corsivo?

Aprile-Maggio 2015

di Diana Hanbury King


In primo luogo, il corsivo è innegabilmente molto più veloce. «Kate Gladstone, una specialista di scrittura a mano con sede ad Albany, stima che mentre uno studente, per seguire una tipica lezione, ha bisogno di annotare 100 parole leggibili al minuto; chi utilizza la tastiera può gestirne solo 30» (Freedman, 2005).

Durante la scrittura corsiva, la parola diventa un'unità, piuttosto che una serie di tratti separati, ed è più probabile memorizzarne l'ortografia corretta.

Tutte le lettere corsive minuscole possono iniziare sulla linea di scrittura, così è meno probabile che le lettere vengano invertite.

Più critico il fatto che la scrittura manuale impegni più risorse cognitive di quanto faccia la digitazione sulla tastiera (Berninger, 2012).

Altri benefici di insegnamento del corsivo includono la capacità di leggere il corsivo. La Dichiarazione di Indipendenza [degli USA NdT] e molti altri importanti documenti d'archivio, sono scritti in corsivo. Una firma in corsivo è più difficile da falsificare rispetto ad una stampa.

Anna Gillingham ha sostenuto l'insegnamento del corsivo fin dal principio, e molte scuole per studenti con dislessia fanno lo stesso (ad esempio, la Kildonan School, la Camperdown Academy, e la Sandhills School). In Francia, e in molti altri paesi europei, il corsivo viene insegnato fin dall'inizio.

È stato sostenuto (da quelli che dovrebbe saperlo meglio) che imparare a scrivere usando il corsivo lo rende più difficile per i lettori principianti. Questo semplicemente non è vero. Lettura e scrittura, anche se entrambe le attività coinvolgono procedimenti con la lingua scritta, impegnano circuiti differenti all'interno del cervello. Gli alunni di prima elementare possono facilmente padroneggiare la tracciatura delle lettere minuscole in corsivo entro Natale. Quando si lavora con gli studenti più grandi, dalla quarta o quinta elementare in su, non ho mai avuto bisogno di spendere più di due settimane per  stabilire la modalità di tracciatura di queste lettere. Le lettere maiuscole richiedono più tempo, ma gli studenti nel frattempo possono certamente continuare a scrivere le lettere maiuscole in stampatello.

Prima che l’alunno inizi a scrivere sul foglio di carta, la scrittura di tutte le lettere in corsivo deve essere allenata con lo studente in piedi a lavorare su una lavagna bianca o di ardesia. La procedura multisensoriale in quattro fasi conosciuta come "Ricalca, Ricopia, Ricorda, Recupera a occhi chiusi" è di vitale importanza (cfr. marzo 2015, Examiner https://eida.org/?p=1495 ). Facendo attenzione che ogni lettera inizi sulla linea e termini con un "sorriso", che è l'inizio del tratto di collegamento alla lettera seguente.

L'uso di "Compitazione Orale Simultanea" (vale a dire, SOS = Simultaneous Oral Spelling) è importante. Nel momento in cui gli alunni tracciano ogni lettera, mentre scrivono una parola, si pronuncia il nome della lettera (non il suono) ad alta voce. Bisogna dire allo studente: «devi dire sempre alla mano che cosa deve fare.» Questa procedura, nota come Compitazione Orale Simultanea, o SOS [= Simultaneous Oral Spelling NdT], rinforza la tracciatura della lettera.

Fin dall'inizio, è essenziale stabilire una corretta postura, una adeguata posizione della carta, e una giusta presa della matita:

  • La postura
L’alunno si siede con la schiena dritta o inclinata leggermente in avanti e con i piedi ben saldi a terra. Il banco dovrebbe stare a non più di 5 cm al di sopra del gomito quando il braccio è disteso lungo il fianco dell’alunno. Se il banco non può essere regolato utilizzare un cuscino e una cassetta o un panchetto in modo che i piedi non siano lasciati penzolare. Entrambi i gomiti devono essere sul tavolo ‒ chiamiamo questa la "posizione di ascolto e apprendimento".

  • Posizione del foglio
Il foglio di carta deve essere inclinato con un angolo di quarantacinque gradi e quindi parallelo al braccio che scrive. In questo modo il braccio può ruotare liberamente sul gomito mentre la scrittura si muove attraverso la pagina. La mano che non sta scrivendo va tenuta nella parte superiore della pagina per tenere fermo il foglio e per spostarlo in su ‒ come il rullo di una macchina da scrivere. Il corretto posizionamento è particolarmente importante per evitare la presa mancina [col polso] a gancio. Anna Gillingham ha detto che le persone che fanno uso di questa presa a gancio sono "un monumento all’ignoranza o alla pigrizia degli insegnanti di quel bambino". Dipingere o disegnare con del nastro adesivo una "V" nella parte inferiore della scrivania può servire come promemoria. Un altro metodo è quello di avere delle linee parallele come guida, inclinate in base alla presa mancina o destrimana del bambino.

  • Presa della matita
La matita viene afferrata tra il pollice e l'indice, con il dito medio formare un ripiano di appoggio. La fine della matita deve essere rivolta verso la spalla. Tutte le dita sono leggermente piegate. Questa è nota come “presa tripode" ed è la più efficiente.

Ci sono varie impugnature e diverse matite sul mercato sono progettate per aiutare gli alunni ad impugnare le loro matite in modo appropriato. Evitate le penne a sfera economiche che scrivono solo quando la penna viene tenuta in verticale sulla carta. A volte penne a gel o pennarelli funzionano meglio. Sperimentate per trovare ciò che è più utile per ognuno.

Gli studenti dovrebbero imparare a scrivere lettere in corsivo in un ordine basato sulla facilità di tracciatura. Le "lettere con aggiunte a posteriori" (cioè i, t, f, j ‒ di seguito in corsivo) necessitano di una pratica particolare in modo che lo studente non si fermi nel mezzo della parola allo scopo di aggiungere il punto o il trattino. Le più difficili da collegare sono le "lettere ponte" (cioè b, v, w - sotto in corsivo). Il collegamento di queste lettere richiede un esercizio apposito.








Esercitarsi nella tracciatura di una lettera alcune volte è più efficace della scrittura di file interminabili di una singola lettera. Una volta che l'alfabeto è stato ben acquisito, deve essere quotidianamente ripetuto all'inizio di ogni lezione. Le ventisei lettere dovrebbero essere scritte su due linee, dalla a alla m e dalla n alla z.

Incoraggiate gli studenti a lavorare lentamente e con attenzione in un primo momento. Col tempo essi dovrebbero essere in grado di scrivere l’alfabeto minuscolo in meno di due minuti.

Le lettere maiuscole corsive sono più problematiche. Tutte le lettere corsive minuscole iniziano sulla linea di base. Al contrario, solo quattro lettere maiuscole corsive iniziano sulla linea (cioè I, J, G e S ‒ sotto in corsivo). Per questo motivo le maiuscole in corsivo sono meglio insegnate a gruppi in base al punto di inizio. La maggior parte delle lettere maiuscole corsive terminano sulla linea di base e si uniscono direttamente alla lettera successiva, ma sei di queste non lo fanno (cioè D, P, T, V, W, X ‒ di seguito in corsivo).

I-J-G-S1-300x53.png

D-P-T-V-W-X1-300x37.png


Prima il corsivo viene padroneggiato e più probabile è che divenga una abitudine per tutta la vita. Non dimenticate mai: scrivere allena il cervello, digitare allena le dita.


RIFERIMENTI

Berninger, V.W. (May-June 2012). Strengthening the Mind’s Eye: The Case for Continued Handwriting Instruction in the 21st Century. Principal, 28-31. http://www.ortonacademy.org/cms/uploads/berninger-minds_eye_handwriting_2012.pdf

Freedman, S. G. (January 19, 2005). Back to the Basics of a Legible Hand. On Education. The New York Times. http://www.nytimes.com/2005/01/19/education/back-to-the-basics-of-a-legible-hand.html

Klemm, W.R. (March 14, 2013). Why Writing by Hand Could Make You Smarter. Psychology Today. https://www.psychologytoday.com/blog/memory-medic/201303/why-writing-hand-could-make-you-smarter

Mueller, P.A. & Oppenheimer, D.M. (2014). The Pen Is Mightier Than the Keyboard: Advantages of Longhand Over Laptop Note Taking. Psychological Science, 25(6), 1159-1168. http://pss.sagepub.com/content/early/2014/04/22/0956797614524581


Diana Hanbury King, Lit.hum.Dr.hc, F/AOGPE, è stata la fondatrice di Camp Dunnabeck nel 1965 e co-fondatrice di The Kildonan School nel 1969. È stata membro fondatore della Academy of Orton-Gillingham Practitioners and Educators (AOGPE). Le sue idee hanno creato una discontinuità nell’educazione degli studenti con dislessia; ella ha sviluppato un programma per la formazione degli insegnanti alla Kildonan che è diventato un un punto di riferimento del settore. La dott.ssa King ha pubblicato anche materiali didattici, in particolare nel settore delle competenze linguistiche scritte, che sono stati utilizzati da migliaia di educatori in tutto il mondo. La International Dyslexia Association le ha assegnato il premio Samuel T. Orton nel 1990 in riconoscimento del suo talento nell’insegnamento che "ha migliorato oltre misura la qualità della vita per una miriade di studenti dislessici e delle loro famiglie". Nel 2013, ha ricevuto il premio Margaret Byrd Rawson Lifetime Achievement Award da IDA in riconoscimento della sua compassione, della sua leadership, del suo impegno per l'eccellenza, delle azioni di sensibilizzazione per le persone con dislessia, e per il lavoro svolto a livello nazionale nel promuovere la missione di IDA.

Copyright © 2015 Internazionale Dyslexia Association (IDA). Incoraggiamo la condivisione di articoli di Examiner (newsletter mensile di IDA NdT). Se parti dell’articolo sono citate, si prega di riportare un appropriato riferimento. Gli articoli non possono essere ristampati a scopo di rivendita. Il permesso di ripubblicare questo articolo è disponibile da info@interdys.org .



Traduzione: Stefano Longagnani http://longagnani.blogspot.it/

In evidenza

Elenco di articoli sul corsivo

Questo elenco di articoli è per colpa mia un guazzabuglio poco ordinato. Sono presenti sia articoli divulgativi di testate giornalistiche...