giovedì, dicembre 24, 2015

Motto di Jacopone da Todi

«Ove temi pericolo,
non fare spesso posa.
Sappi di polver tollere
la pietra preziosa,
e da uom senza grazia
parola graziosa;
dal folle sapienzia,
e dalla spina rosa.
Prende esempio da bestia
chi ha mente ingegnosa. 
Vediamo bella immagine
fatta con vili deta;
vasello bello ed utile
tratto da sozza creta;
pigliam da laidi vermini
la preziosa seta,
vetro da laida cenere,
e da rame moneta.
Non dimandare agli uomini
che lor nega natura:...
e non pregar la scimia
di bella portatura,
nè il bue, nè l'asino
di dolce parladura... 
Quel che non si conviene,
ti guarda di non fare:
nè messa ad uomo laico,
nè al prete saltare;
non dece spada a femmina,
nè ad uom lo filare...
Non piace se 'n suo loco
non ponesi la cosa:
innanzi che ti calzi,
guarda da qual piè è l'uosa.
Se leggi, non far punto
dove non è la posa;
dov'è piana la lettera,
non fare oscura glosa.
In ogni cosa al prossimo
ti mostra mansueto:...
Da nimistate guàrdati,
se vuoi viver quieto...
A quel modo conformati
che trovi nel paese:
al Genovese, in Genova,
ed in Siena, al Sanese...
Uomo che spesso volgesi,
da tuo consiglio caccia.
Se vedi volpe correre,
non dimandar la traccia:
non ti sforzare a prendere
più che non puoi con braccia:
chè nulla porta a casa
chi la montagna abbraccia.
Quando puoi esser umile,
non ti dimostrar forte:
il muro tu non rompere,
se aperte son le porte...
Con signore non prendere,
se tu puoi, quistione;
ch'ei ti ruba ed ingiuria
per piccola cagione,
e tutti gli altri gridano:
- Messere ha la ragione... - 
Uomo senz'amicizia
castello è senza mura...
Quella è buona amicizia,
che d'ogni termpo dura:
povertà non la parte,
nè nulla ria ventura.
Quel che tu dici in camera
non dire in ogni loco:
a piaga metti unguento,
non vi mettere il foco...»

È un motto di Jacopone da Todi, tratto dalla Storia della letteratura italiana di F. De Sanctis (da me ripreso su goofynomics in un commento di Nicola Baroni, che ringrazio per aver segnalato cotanta perla).

martedì, dicembre 15, 2015

Neolingua

Neolingua. Questo sono le etichette con le quali ci convincono di riferirci ai nostri figli, come "casi" invece che persone. Ci impediscono di parlare di loro, delle loro emozioni e delle loro speranze, delle loro difficoltà e della loro crescita. Di come sono davvero i nostri figli.

https://it.wikipedia.org/wiki/Neolingua

vho.org/aaargh/fran/livres6/1984-it.pdf

mercoledì, dicembre 09, 2015

Un record (positivo?)

Oggi la prof.ssa Menabue, dirigente dell'Ufficio scolastico Territoriale di  Modena, al corso per i neo immessi in ruolo ha ricordato un dato a mio parere allarmante: la provincia di Modena è prima a livello nazionale per diagnosi di DSA. Siamo ad oggi al 4.3% della popolazione scolastica.

Solo pochi giorni fa leggevo sul sito del MIUR di un dato medio a livello nazionale, relativo al 2012, dell'1,2%. Il dato per l'Emilia Romagna è di nemmeno il 2,1%.

La spiegazione ufficiale del nostro record modenese mi immagino sia probabilmente che noi, qui a Modena, siamo più bravi. Che da noi si fa più prevenzione, più screening diagnostico precoce, con il monitoraggio dell'apprendimento della letto-scrittura ad esempio già dal gennaio della prima classe primaria (sì, avete letto bene: a gennaio si entra in classe a misurare la velocità di scrittura dei bambini di prima elementare).

...

...

E se invece fossimo di fronte ad una massiccia sovradiagnosi?

E se questa medicalizzazione delle difficoltà scolastiche, questo mancato rispetto per i tempi di apprendimento dei bambini meno veloci, non fosse invece un gigantesco autogol, di cui ci renderemo conto solo tra vent'anni, a disastro compiuto?

Nel mondo anglosassone, ad esempio, dopo quasi cento anni di stampatello, stanno precipitosamente tornando, in modo più che ufficiale, al corsivo.

Negli USA le sperimentazioni di scuole e università senza carta si stanno ripensando: gli studenti universitari, ad esempio, si stampano anche in Italia i testi digitali per poter studiare sulla cara vecchia carta (studenti nativi digitali, si badi).

Da noi invece, quando ormai fioccano gli articoli scientifici sui danni che la tecnologia può arrecare al percorso di apprendimento dei bambini, ci si vanta di fornire tablet e LIM sempre in più tenera età, quando invece ci sono scuole superiori dove gli studenti di quindici anni studiano Tecnologie Informatiche in laboratori con nemmeno un PC di oltre 12 anni ogni due studenti.

Che dire?

Solo che spero davvero di sbagliarmi.

giovedì, dicembre 03, 2015

Il PDP non funziona

Il piano didattico personalizzato che il consiglio di classe è tenuto a predisporre è, per i genitori di bambini con diagnosi di DSA, lo strumento principe di comunicazione scuola-famiglia.

Nell'esperienza professionale di praticamente tutti i docenti delle scuole superiori con i quali ho scambiato qualche parola sull'argomento, il piano didattico personalizzato (in gergo PDP), viene purtroppo vissuto come una mera incombenza burocratica.

In rari casi è il "referente di caso" (figura non obbligatoria prevista dalla legge 170 del 2010, che la maggior parte delle scuole sceglie di istituire) che può approfondire il dialogo con la famiglia e con lo studente, ma si tratta di sporadiche scelte personali che non cambiano il desolante quadro d'insieme.

Tralasciando volutamente tutta la discussione sull'approccio medicalizzante previsto dalla legge 170 del 2010, lo strumento, il PDP, appare progettato per formalizzare e tracciare quella che è considerata universalmente una buona pratica didattica: osservare lo studente per conoscerne punti di forza e di debolezza, e conseguentemente mettere in campo strategie didattiche individualizzate ed inclusive, per favorirne il successo formativo, cioè l'apprendimento e il consolidamento delle abilità e delle competenze fondamentali.

Nei fatti però il PDP non funziona, e non aiuta quindi a perseguire efficacemente questi obiettivi.

A parole appare tutto abbastanza lineare, e insegnanti e genitori ci si trova facilmente d'accordo che sarebbe bello che non fosse così, e coralmente si vorrebbe che fosse uno strumento di comunicazione scuola-famiglia che permettesse di progettare, di coordinare, di declinare, di includere, ecc. e tanti altri bellissimi auspici. Ma, nei fatti, lo ripeto, genitori e insegnanti sanno che così non è.

E da questo punto in avanti... ci si divide.

Per molti genitori (non per tutti) la colpa è della scuola, anzi, degli insegnanti, che non si informano, che non si formano, che non si interessano, che non gli importa nulla, che rubano lo stipendio, e via a seguire fino ad arrivare, nei casi più estremi, alle cause legali. E lì, davanti ad un magistrato, anche se il PDP non è servito ad aumentare l'istruzione dello studente di un solo bit, lì il PDP, potrebbe finalmente servire.

Per gli insegnanti (non per tutti), d'altra parte, il PDP che i genitori vogliono è fondamentalmente inutile (ma lo si compila diligentemente per evitare i problemi di cui al paragrafo precedente). I genitori in questo caso vengono percepiti come degli scocciatori, un fastidio, anche, si badi, per i migliori tra gli insegnanti. Una perdita di tempo rapportarsi con i genitori per la compilazione del PDP, del preziosissimo tempo che si vorrebbe dedicare agli studenti ed alla materia insegnata.

A complicare la compilazione del PDP inoltre, ci si mette la "fretta" (chiamiamola così...) di molti neuropsichiatri (non tutti) e psicologi (non tutti). Nelle loro diagnosi di DSA infatti, dopo aver visto sì e no due volte o poco più lo studente, e aver passato la quasi totalità del tempo a somministrare test cosiddetti diagnostici, vengono infine copia-incollate tutte le misure dispensative e tutti gli strumenti compensativi previsti dalle linee guida della legge 170/2010.

E così, a disgrafici bravi in matematica viene consigliato l'uso della  calcolatrice e della tavola pitagorica, e a discalculici senza problemi di dislessia e di comprensione dei testi (che magari leggono velocemente libri su libri) viene consigliato maggiore tempo per la lettura e per lo studio, in tutte le materie. Per non parlare delle interrogazioni programmate, della dispensa dallo scrivere in corsivo, ecc.

Col PDP che nei fatti non funziona, quando lo studente con diagnosi di DSA ha dei problemi scolastici, la scuola e la famiglia, invece di collaborare, spesso confliggono.

Che fare?

Vorrei portare la mia esperienza di consulente aziendale (anche se la scuola NON è un'azienda, e non dovrebbe essere gestita come un'azienda, per motivi che esulano dagli obiettivi del presente scritto).

In definitiva il PDP appare essere un classico strumento nato per formalizzare una attività, per dare prova esterna, in caso di contenzioso, di aver svolto una attività prescritta.

Quando come consulente analizzavo i processi aziendali, ero incaricato dalla direzione (e ben pagato) di trovare nell'organizzazione i punti critici (dove le cose non andavano) e di proporre modifiche concretamente implementabili. Mi sono occupato praticamente solo di aziende di servizi (anche multinazionali), dove non aveva senso trovare il macchinario difettoso o il pezzo mal progettato: il mio campo di indagine erano le procedure aziendali, e le persone che erano preposte ad attuarle.

Si badi che non mi veniva chiesto di trovare i colpevoli del problema, perché era ovvio a chi mi incaricava che il problema non stava nelle persone (di solito). Infatti se in una organizzazione complessa una persona non svolge in modo dignitoso il proprio lavoro, tutti ne sono in breve tempo al corrente, e non serve certo un consulente esterno per identificarla. Questo è ovviamente ancor più vero per la scuola, dove l'interfaccia col mondo esterno, la classe, è composta di ragazzi e ragazze che hanno tutto l'interesse a rendere pubblici eventuali problemi con docenti negligenti.

Fatta questa doverosa premessa, se, com'è normalmente, i genitori (stakeholder esterni) non sono scocciatori, ma fondamentalmente persone giustamente preoccupate per i propri figli; se, com'è normalmente, gli insegnanti (stakeholder interni) non sono negligenti, ma docenti animati dal desiderio che i propri studenti apprendano... Dove sta allora davvero il problema?

La risposta, se fossimo in azienda, sarebbe semplice e diretta: il problema sta nel PDP, nello strumento scelto dal legislatore per regolare, formalizzare e tracciare l'attività di comunicazione e di relazione scuola-famiglia.

E la risposta è questa non perché li dico io, ma perché lo dicono con chiarezza i fatti. Se lo strumento non funziona.... È lo strumento che non funziona!  (A meno di non pensare che una maggioranza schiacciante degli insegnanti e dei genitori sia animata da volontà nichiliste e/o demoniache!).

Se devo scavare una buca ma la pala non funziona... Se devo scrivere ma la biro non funziona...

È lo strumento scelto il vero problema.

Le alternative ci sono. E sono ottime alternative. Per una comunicazione-relazione scuola-famiglia a tutto tondo ad esempio è utilizzabile la metodologia pedagogia dei genitori. Viene già utilizzata con pregevoli successi per accompagnare la compilazione del PEI, o semplicemente per aumentare la qualità della relazione tra insegnanti e genitori. Viene pure utilizzata in ambito sanitario ed educativo per la formazione del personale.

Ma il PDP è previsto dalla legge...

Sì, il PDP è previsto dalla legge, ma le modalità di compilazione e il processo per arrivare alla sua definizione non sono rigidamente normate, e si potrebbe mutuare l'esperienza già presente in diverse scuole d'Italia, dove si sta già utilizzando la metodologia pedagogia dei genitori per migliore il rapporto scuola-famiglia. Si tratterebbe di declinare la metodologia pedagogia dei genitori allo specifico problema della definizione di un PDP condiviso e corale, per fare in modo di costruire insieme, genitori e insegnanti nei rispettivi ruoli, un intervento pedagogico inclusivo, personalizzato e davvero efficace perché sostenuto dall'alleanza educativa tra docenti e genitori dell'intera classe.

sabato, novembre 28, 2015

Nella scuola Steiner-Waldorf di Reggio Emilia nessun DSA

Ieri ho assistito ai primi due interventi della mattina del convegno "DSA e vita" organizzato presso l'ITIS "Enrico Fermi" di Modena.

Gli spunti interessanti nelle relazioni del rabbino Beniamino Goldstain e della docente Loredana Pellegrino della scuola Steiner-Waldorf di Reggio Emilia sono stati davvero parecchi e mi piacerebbe sinteticamente riportarli qui e approfondirli; spero di farlo in un prossimo post.

Ora ho l'urgenza di appuntarmi la risposta della prof.ssa Pellegrino alla mia domanda sulla presenza o meno di bambini con DSA nella scuola Steiner-Waldorf dove la docente lavora.

La risposta, che mi aspettavo dopo aver ascoltato la bella relazione e nella quale avevo sentito riecheggiare I principi pedagogici migliori, da Montessori a De La Garanderie, è stata netta: non è presente nessun bambino con DSA che abbia dall'inizio frequentato la scuola Steiner-Waldorf; gli unici bambini con diagnosi di DSA presenti nella scuola sono inserimenti successivi, provenienti da altre scuole.

Questo dato non è un dato validato scientificamente, ma solo un episodio, una constatazione su cui però riflettere a fondo.

sabato, novembre 14, 2015

Noi

Non sono solo,
perché mi hai parlato.

Non sono triste,
perché mi hai sorriso.

Non sono scoraggiato,
perché mi hai dato la mano.

Non sono vuoto,
perché mi hai ascoltato.

Ogni volta che il frastuono ha coperto la tua voce,
ho avuto paura.

Finché un giorno, lontano,
ho scoperto che potevo parlare, sorridere, dare una mano, ascoltare.

E la paura, dentro,
è svanita.

(Anonimo spilambertese)

Corsivo e DSA

Gent.ma maestra XYZ,
come promesso all'ultima conferenza di Frédéric Rava al MeMo,  le invio qualche link interessante (spero).
Come avrà capito dal mio breve intervento (e come scoprirà leggendo i link che le sottopongo) sono convinto che la graduale scomparsa del corsivo che è avvenuta negli ultimi decenni sia una sciagura. Sia chiaro però che non ho un approccio ideologico. Il corsivo non è la panacea di ogni problema scolastico: ci vorrebbe ben altro! Inoltre sarei ben disponibile a cambiare idea: ho una formazione tecnica e l'approccio scientifico e pragmatico, lontano da ogni aprioristico fideismo, è per me naturale.
Mi basterebbe un solo serio articolo scientifico, pubblicato su qualche rivista quotata, che sostenesse, con test di significatività statistica e gruppo di controllo, che far scrivere in stampatello maiuscolo ed eventualmente dispensare dalla scrittura i bambini con diagnosi di DSA, li aiuta negli apprendimenti successivi, che cambierei immediatamente idea.
Il problema è che articoli del genere non ne ho trovato nemmeno uno (sono anni che li cerco e che li chiedo agli "specialisti" che diagnosticano i DSA), e neppure ho trovato articoli poco seri su riviste fai da te (il massimo che ho trovato sono tesi di dottorato piene di "opinioni" che insegnare prima lo stampatello, o addirittura solo quello ai bambini in difficoltà, sia la cosa giusta da fare). Nessun supporto sperimentale alle affermazioni fatte (con terribile leggerezza a mio parere).
Trovo invece sempre più ricerche serie che provano esattamente il contrario: abbandonare il corsivo o semplicemente ritardarne l'apprendimento, è un grave errore per il bambino.
Colgo l'occasione per augurarle buon fine settimana, e per mandarle come promesso un po' di link dove si parla di dislessia e di corsivo. Li consideri appunti personali, e spero li trovi di una qualche utilità (ma mi raccomando legga gli articoli originali in inglese che sono linkati, sono enormemente più completi ed esaurienti dei miei poveri post riassuntivi).
Cordialmente
Stefano Longagnani

Riprendiamoci la pedagogia

In questo saggio sulla Neuropedagogia, il prof. Ermanno Tarracchini illustra il filo etico e scientifico che lega lo sviluppo della parte migliore del pensiero critico e riformatore di grandi studiosi del passato remoto e recente (da M. Montessori a L.S. Vygotskij,  da J. Itard a J. Dewey, da G. Doman a C. Delacato, da C. Freinet a M.Lodi, da P. Freire a L. Milani), fino ai recenti sviluppi in campo pedagogico e neuroscientifico. Il saggio, anche utilizzando spunti autobiografici pescati dall'enorme esperienza di insegnante, formatore ed educatore del prof. Tarracchini, accompagna il lettore in un "nuovo sguardo all'umano" di una nuova scienza della personalità che si lascia alle spalle psicologia, psichiatria e psicoanalisi, per abbracciare il nuovo e più vasto orizzonte morale della coscienza della specie umana.

Consigliato a chi non fa l'insegnante come (e non crede che sia) un lavoro qualsiasi.

giovedì, ottobre 29, 2015

Perché non "dispensare e compensare"?

Domanda:
Stamattina ho interrogato 3 ragazzi con DSA (verifica orale programmata, come da PDP). Sul banco i fogli con gli schemi. Praticamente leggevano quanto scritto. Come li valutate in casi analoghi?

Risposta:
Non ne ho la minima idea.... Qualche complottista ci direbbe che è tutto un piano degli alieni per rendere i nostri giovani ignoranti e manipolabili.  :-)

Non ho suggerimenti che non contengano imprecazioni, mi spiace.

No, dai, ci provo...

Forse, entrando nell'ottica dei corsi sui DSA, si dovrebbe evitare di far utilizzare mappe concettuali troppo estese e dettagliate, e non preparate dallo studente. Inoltre è da notare che in fondo anche un conferenziere si tiene gli appunti e si può valutare la sua prestazione lo stesso.

.... .... ....

Il problema è che non sono d'accordo con la "logica" che sta dietro ai "ragionamenti" che ho appena provato a svolgere. In primo luogo con le mappe sotto gli occhi, anche se preparate dallo studente (quasi mai, ed è impossibile da controllare), lo studente è dispensato dal fare col proprio cervello i collegamenti che trova già pronti nei propri schemi. Questo a mio modesto parere è un enorme danno allo studente sotto molteplici punti di vista: intanto è una cosa concessa solo a lui e questo gli mina fortemente la fiducia in sé stesso, poi nel mondo reale non è detto che si abbia sempre il tempo di prepararsi degli schemi per rispondere a delle domande, e il non farlo allenare a scuola, durante l'età dello sviluppo, provoca un grave danno allo studente anche sul fronte delle competenze poi spendibili nella vita reale (non mi risulta ci siano lavori riservati ai DSA). In secondo luogo "compensando e dispensando" vengono inibite le risorse interne dello studente; risorse che possono, se stimolate, portare lo studente ad esplorare sé stesso e a trovare una propria modalità personale per compensare le proprie specifiche difficoltà, ostacolando il naturale processo di presa di coscienza del proprio singolare modo di funzionare. È un processo che si rafforza e si affina proprio incontrando e superando con le proprie individuali modalità le difficoltà che la vita ci presenta (ad esempio le difficoltà scolastiche).

Devo aggiungere una ovvietà che ovvietà purtroppo non è: lo studente non va messo in situazioni per lui insuperabili. Si tratta invece, per l'insegnante e per lo studente, di un processo dinamico per tentativi ed errori, processo che si affina con la reciproca conoscenza e stima (e questo spiega, tra le altre cose, come mai in tutto il mondo le ricerche scientifiche certificano che le scuole con pochi insegnanti sulla classe, cioè molte ore per ogni insegnante, sono le scuole con i migliori risultati).

lunedì, ottobre 26, 2015

TRE INCONTRI FORMATIVI SU DISLESSIA, GRAMMATICA E MATEMATICA


TRE INCONTRI FORMATIVI SU DISLESSIA, GRAMMATICA E MATEMATICA
IL PROSSIMO MARTEDÌ 3 NOVEMBRE 2015 
PRESSO IC MODENA 1 E MEMO


Dopo l'interesse suscitato dal riuscito incontro dello scorso maggio con Frèdèric Rava sulla dislessia promosso dal gruppo di Modena del Movimento di Cooperazione Educativa, il pedagogista francese erede di Antoine De La Garanderie torna a Modena il prossimo 3 novembre 2015 con tre seminari formativi per la PREVENZIONE E IL RECUPERO DELLE DIFFICOLTÀ SCOLASTICHE. Un sentito grazie al convinto sostegno della dirigente Concetta Ponticelli, da appena un mese insediatasi all'IC Modena 1, che ospiterà due dei tre seminari formativi, ed alla disponibilità del MeMo, fiore all'occhiello della pedagogia modenese.

Interessante è notare il differente approccio tra Francia e Italia rispetto alle difficoltà scolastiche: in Francia il governo promuove e finanzia nelle scuole percorsi di recupero basati anche sull'efficace approccio pedagogico di Antoine De La Garanderie, con insegnanti specializzati e pedagogisti in ogni scuola che si occupano di interventi mirati sulle difficoltà scolastiche. Nelle scuole materne e primarie in tutta la Francia ad esempio è attiva la RASED (Réseau d'aides spécialisées aux élèves en dufficulté), una rete di specialisti che al bisogno attiva percorsi di sostegno e recupero per i bambini in difficoltà scolastica mediante una équipe multidisciplinare specializzata.

In Italia al contrario l'approccio alle difficoltà scolastiche è molto più vicino a quello scelto dal mondo anglosassone: diagnosi psichiatrica precoce con conseguente applicazione (ai sensi della L.170/2010 e delle relative linee guida di cui al D.M. del 12/07/2011) di misure dispensative e di strumenti compensativi, questi ultimi spesso di carattere tecnologico, senza che studi scientifici inequivocabili comprovino il miglioramento degli apprendimenti mediante l'applicazione di questi protocolli. Gli interventi da parte di specialisti per il recupero, ad esempio logopedisti o riabilitatori della scrittura, sono solo una esigua minoranza del totale, e oltre a riguardare solo specifiche difficoltà, sono quasi sempre a carico delle famiglie.

Nel mondo anglosassane d'altra parte il dibattito sulle difficoltà scolastiche, in particolar modo sulla dislessia e sul miglior modo di affrontarla, è parecchio più articolato che in Italia. Un recente significativo esempio è il libro peer-reviewed “The dyslexia debate”, edito da Cambridge University Press, ove gli autori, due professori della Durham University e della Yale University, passano in rassegna la letteta scientifica rilevante e criticano fortemente l'attuale approccio medicalizzante proprio per la mancanza di solide basi scientifiche e delle disparate metodologie di diagnosi: il confine tra "disturbo", basato su problemi di origine organica, e difficoltà scolastiche, per esempio causate da una cattiva didattica, non è allo stato attuale delle conoscenze semplicemente tracciabile.

Programma della giornata:
1) ore 9.30-12.00 Gestione mentale della MATEMATICA nella scuola primaria (c/o scuola media Cavour via Amundsen 80 a Modena). Frédéric Rava sarà introdotto da un intervento del prof. Ermanno Tarracchini.
2) ore 14.30-17.00 Gestione mentale della GRAMMATICA (c/o scuola media Cavour via Amundsen 80 a Modena). Frédéric Rava sarà introdotto da un intervento della prof.ssa Valeria Bocchini.
3) ore 17.30-19.00 Gestione mentale o DISLESSIA? Ovvero come il corpo maschera il pensiero (c/o MeMo Multicentro educativo via J.Barozzi 172 a Modena). Introduce il prof. Domenico Campana insieme al prof. Ermanno Tarracchini. Modererà il dibattito con Frèdèric Rava la prof.ssa Valeria Bocchini.

Tutti gli incontri sono aperti a tutti e gratuiti. Attestato di frequenza agli insegnanti presenti (MCE è ente di formazione accreditato dal MIUR).

Link ai siti istituzionali di MeMo e IC Modena 1:
http://www.ic1modena.gov.it/seminario-3-novembre-2015/
http://istruzione.comune.modena.it/memo/Sezione.jsp?titolo=Fr%E9d%E9ric%20Rava%20e%20la%20pedagogia%20della%20gestione%20mentale&idSezione=2929

venerdì, ottobre 02, 2015

Effetto Lolita

Come e quanto i media influenzano I nostri figli?

A questa domanda risponde il non banale libro The Lolita effect di Meenakshi Gigi Durham, purtroppo non ancora disponibile in italiano. Dal bel blog di Maria G. Di Rienzo apprendo che Meenakshi Gigi Durham è docente universitaria di studi sul genere, sulle donne e sulla sessualità. Il suo libro “L’effetto Lolita: la sessualizzazione mediatica delle ragazzine e cosa noi possiamo fare al proposito” è del 2008. Come esperta ha partecipato a diversi programmi della BBC e appare nel documentario “Miss Representation”. Maria G. Di Rienzo ha tradotto questo interessantissimo intervento tratto da “The Myth, The Men and The Media – Why We Need to Revolutionize Our Approach to Women in the Media” del 2 settembre 2015, un lungo articolo di approfondimento di Women News Network. Non si tratta di un articolo scientifico in senso stretto, ma contiene un paio di citazioni a due dei più rilevanti studi scientifici (tra i molti) relativi ad alcuni pesanti effetti negativi che i media hanno sui nostri figli. Il passo chiave lo riporto integralmente:

Per esempio, i media sono stati identificati come fattore chiave nell’insoddisfazione rispetto al proprio corpo e i disordini alimentari (Benowitz-Fredericks, et al, 2012). Negli Stati Uniti, i media sono la risorsa principale per l’educazione sessuale (Strasburger, Wilson & Jordan, 2014). Uno studio del 2006, condotto su più di mille adolescenti trovò che l’esposizione al sesso sui media conduceva a precoce attività sessuale. Potrei citare altre ricerche, ma c’è un’evidenza empirica assai forte sul fatto che i media influenzano le persone giovani ad un livello significativo.

L'articolo integrale è consultabile qui oppure in questo post sul blog di Maria G. Di Rienzo (più leggibile su dispositivi mobili).

L'ennesima prova, c'è ne fosse ancora bisogno (ormai chi non vuole capire è pagato per non capire, oppure.... fate voi!).

Purtroppo l'articolo si chiude con l'ennesimo appello al mondo della scuola che dovrebbe farsi carico, con sempre meno risorse, di una nuova "educazione ai media". Da accoppiare con l'educazione alimentare, l'educazione al rispetto dell'ambiente, l'educazione stradale, l'educazione all'affettività, l'educazione alla cittadinanza, e via di questo passo...

Come svuotare il mare con una secchiello.

La nostra società ha scelto, dobbiamo rendercene conto, di sacrificare i più deboli sull'altare della libertà dei più forti. Il sacrosanto principio della libertà di espressione di ognuno non può essere utilizzato da chi detiene il potere mediatico come un randello per imporre una visione del mondo e della vita utile ai propri affari (perché questo significa condizionare le nuove generazioni). Senza rendere neutrali per legge i media (cioè non al servizio di qualcuno più uguale degli altri) non si va da nessuna parte. Senza una forte limitazione del "diritto" di fare pubblicità, la scuola non potrà mai granché contro la potenza di fuoco dei "padroni del vapore" mediatico.

lunedì, luglio 06, 2015

La dislessia cos'è?

È necessario fare chiarezza, e smetterla di mentire sulla pelle dei bambini. Alla luce delle attuali conoscenze bisogna ammettere che:

1. La dislessia viene definita un disturbo mentale e ha forse fondamenti genetici (in tutto o più probabilmente solo in parte; leggere ad esempio qui e soprattutto qui)

2. Esistono molteplici difficoltà di letto-scrittura che dipendono dalla cattiva didattica e/o dall'ambiente con il quale ha interagito il bambino fin dalla nascita.

3. Le tecniche di diagnosi attualmente utilizzate per identificare la dislessia sono nella pratica clinica sostanzialmente incapaci di distinguere con certezza le due situazioni di cui ai punti precedenti, e quindi rischiano seriamente di etichettano tutto come "dislessia" (si veda l'articolo di Cornoldi e Tressoldi del 2014).

Non mi sembra una bella situazione.

Certo gli insegnanti e le famiglie non possono utilizzare le diagnosi di dislessia per rinunziare al compito ed alla fatica educativa.

Tra l'altro qualunque bambino con una diagnosi di dislessia può trarre benefici enormi da un insegnamento della letto-scrittura più efficace.

L'attuale didattica deve essere cambiata e rinnovata per prevenire i problemi di letto-scrittura.

Dispensare è una sconfitta.

______
articolo aggiornato il 4 ottobre 2016

lunedì, giugno 22, 2015

TINA O MARIA?

Quando capita di discutere di scuola tra genitori e/o tra insegnanti, quasi nella totalità dei casi si presentano sempre due posizioni stereotipate: chi rimpiange la scuola di una volta, che bocciava senza pietà, tutta ripetizione libresca e disciplina (ma che permetteva anche ai più bravi tra i figli del popolo di emanciparsi), e la scuola di oggi, tutta ignoranza, lassismo e offerta formativa, supini allo studente-utente-cliente, scuola che però cerca, almeno a parole e senza riuscirvi, di non lasciare indietro nessuno, per garantire non solo il diritto all'istruzione, ma quello che oggi viene ridenominato, in bislinguaggio, "il diritto al successo formativo".

Come insegnante e come genitore sono molto amareggiato che questa sia l'alternativa, o meglio, che al di fuori di tali posizioni entrambe evidentemente perdenti, non ci sia nessuna alternativa credibile (TINA appunto).

Se queste sono le uniche scelte possibili, allora chi persegue giorno dopo giorno lo smantellamento della scuola pubblica ha già vinto, e la scuola pubblica ha gli anni contati. Nell'uno o nell'altro senso la scuola pubblica troverà via via sempre meno difensori, spostandosi l'opinione pubblica a favore della galassia delle scuole private (dalle cattoliche alle libertarie, dai diplomifici all'homeschooling improvvisato), dove ogni orientamento ideologico trova sfogo, dove c'è posto per tutti (quelli che possono pagare).

Tutto naturalmente in barba all'articolo 3 della nostra bistrattata costituzione, che prescriverebbe (sic), nel suo secondo e fondamentale comma, che...

...E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Moltissimi dimenticano che scuole "di una volta" che non lasciano indietro nessuno, che garantiscono il successo formativo senza trasformare la scuola in un progettificio, e che trasferiscono efficacemente le conoscenze alle giovani generazioni, esistono.

Queste scuole "di una volta" sono tra l'altro un'invenzione tutta italiana, ne esistono oltre 20.000 attive nel mondo, e le frequentano spesso i figli dei ricchi, dei ricchi per davvero. Il governatore Mario Draghi ad esempio, ne ha frequentato una in Italia.

Negli USA i fondatori di Google, di Wikipedia e di Amazon vengono  definiti dai giornali, con una non proprio lusinghiera associazione di idee , "the Montessori mafia", avendo frequentato scuole di "origine" italiana.

Sto infatti parlando delle scuole inventate oltre 100 anni fa a Roma da Maria Montessori.

In Italia le scuole Montessori le chiuse il fascismo (quasi tutte). E già questo dovrebbe essere considerato un punto a favore. La libertà alla quale sono ispirate, la loro capacità di formare cittadini liberamente e criticamente pensanti, non doveva piacere all'epoca, e non sembra piacere neppure ora.

Nelle scuole Montessori non sono previsti né voti positivi né bocciature. Però all'uscita da una buona scuola Montessori i bambini sanno di più. Questo "miracolo" avviene tra le altre cose iniziando presto la scuola (meglio se almeno dai tre anni), e soprattutto aiutando giorno dopo giorno i bambini a diventare autodidatti, protagonisti attivi e consapevoli della propria autoeducazione.

Le scuole Montessori sono apprezzate in tutto il mondo, e invece in Italia sembriamo essercene dimenticati.

martedì, giugno 02, 2015

Valutazione scientifica del metodo Montessori

Nei file qui disponibili una rassegna dei principali studi scientifici sulla validità del metodo Montessori. 

Qui il PDF complessivo della conferenza avvenuta lo scorso autunno a Formigine (Modena) con le spiegazioni in italiano fornite dal relatore.

Qui invece i link agli articoli scientifici originali: 
Aggiungerò altri articoli appena avrò tempo... :-)

sabato, maggio 30, 2015

Ricerca sperimentale "Nulla dies sine linea"

L'Università di Roma 3 ha portato avanti lo scorso anno un interessante ricerca sperimentale sull'utilizzo della scrittura manuale nella scuola primaria. Qui di seguito qualche link sui risultati ottenuti:
 Scrivere, insomma, funziona!

venerdì, maggio 29, 2015

I medici non son più come una volta...

Gorgia, Platone,

LXXVI
“ […] SOCRATE: Dimmi, dunque, in conclusione, a quale tipo di cura dello stato m'inviti: a quella di polemizzare con gli Ateniesi perché diventino quant'è possibile migliori, comportandosi come un medico, o a quella di rendersi loro servo, cercando solo di compiacerli? Dimmi la verità, Callicle! Sì, è giusto che tu, che con tanta franchezza hai cominciato a parlare nei miei riguardi, tu concluda esprimendo per intero il tuo pensiero. Ed ora parla franco e liberamente. 

CALLICLE: Dico, dunque, che la via su cui t'invito è quella di farsi servo dei cittadini.
 
SOCRATE: Nobile amico mio, tu, dunque, m'inviti sulla via dell'"adulazione". 

CALLICLE: E se ti piace, chiamala pure la via del Misio; ma se non farai come ti consiglio... 

SOCRATE: Ma via, non ripetere quello che già tante volte mi hai detto, che il primo venuto, se vuole, riuscirà a farmi condannare a morte, per non costringermi a risponderti ancora una volta: "Un malvagio farà morire un buono!", e non stare neppure a ripetermi che chiunque mi spoglierà di quel poco che ho, per non costringermi a risponderti ancora una volta: "Chi mi avrà spogliato non ne ricaverà alcun utile; anzi, come ingiustamente avrà rubato, così ingiustamente ne userà; e se con ingiustizia, vergognosamente, e se con vergogna, in maniera davvero cattiva"!

LXXVII
CALLICLE: Ma Socrate, come puoi essere così profondamente convinto di non dover mai patire cose del genere, quasi tu vivessi fuori del mondo, e non potessi, invece, essere trascinato in tribunale chi sa mai da quale vile e spregevole uomo?
 
SOCRATE: Sarei proprio uno stupido, Callicle, se non sapessi che in questa città a chiunque possono capitare guai del genere. Ma so anche questo - eccome! -, che, se dovrò essere trascinato in tribunale, con il rischio d'esser condannato a una delle pene da te accennate, colui che mi accuserà sarà un malvagio - nessun uomo onesto potrà mai trascinare in tribunale chi non abbia commesso alcuna colpa - per cui nulla di strano vi sarebbe se venissi condannato a morte. Vuoi ti dica perché me l'aspetto?

CALLICLE: Certo! 

SOCRATE: Credo di avere posto la mano, insieme a pochi Ateniesi - per non dire d'essere il solo -, sulla vera arte politica, e d'essere il solo, oggi, a metterla in pratica. Ecco perché io, non parlando mai per rendermi gradito, non avendo per scopo il piacere, ma il bene, rifiutandomi di fare tutte quelle belle cose che mi consigli, in tribunale resterò senza parola. Ripeto, dunque, a te quello che dianzi dicevo a Polo: rischierò d'esser giudicato come sarebbe giudicato da un gruppo di ragazzi un medico accusato da un cuoco. Vedi un po' tu come potrebbe difendersi un medico che si trovasse in una situazione del genere, quando l'accusatore dicesse: "Ragazzi, quanto male costui ha fatto anche a voi; anche i più piccoli egli ‘corrompe' con il ferro e col fuoco, li ‘angoscia' facendoli dimagrire e soffocandoli, li obbliga a prendere amarissime bevande, fa patire loro la fame e la sete; né certo vi tratta come facevo io, che per voi preparavo svariati e saporiti piatti!". Cosa mai pensi che potrebbe dire un medico che si trovasse in una si brutta situazione? E se dicesse la verità?, se dicesse: "Ragazzi, tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per la vostra salute", fin dove credi che si diffonderebbero le grida di quei giudici? Non farebbero un enorme baccano? […] ”

Paradigma

Usciamo da questa "logica" positivista. L'educazione non è una cura per la malattia dell'ignoranza. Noi non siamo i nostri geni, e neppure siamo il nostro ambiente. Siamo i nostri sogni. Sembra una cazzata poetica, invece è più reale dei disturbi di apprendimento, delle difficoltà scolastiche, della genialità e via etichettando. Lo so che non mi sto spiegando... La scienza mi affascina perché mette in dubbio, non è dogmatica, non spiega il perché profondo (ci rinuncia in partenza), ma solo i perché di causa effetto. Ma la stessa scienza accarezza i propri limiti sapendo di non dover neppure tentare di superarli (parlo dei limiti epistemologici, cioè della conoscenza in quanto tale... Cosa significa "sapere" qualcosa?). Il significato delle parole cambia... Sono etichette le parole, e ognuno le usa per connotare e denotare qualcosa nel proprio mondo interiore. Un mondo inaccessibile a chiunque, anche a sé stessi. La logica della medicina è 1) individuare una malattia, apporgli una etichetta, per conoscere, per non essere più ignoranti di fronte all'insondabile complessità del creato; 2) cercare una cura, che però, proprio perché "cura", non "rimedia". Cosa vuol dire essere malati? Perché i malati di DSA vanno dal medico? Un altro paradigma è necessario...

lunedì, maggio 25, 2015

The Dyslexia Debate - il libro

AUTORI:
Julian G. Elliott, Università di Durham
Elena L. Grigorenko, Università di Yale, Connecticut
DATA DI PUBBLICAZIONE: marzo 2014
ISBN: 9780521135870

Descrizione

Il libro "The Dyslexia Debate" esamina come è utilizzato il termine "dislessia" e mette in dubbio l'utilità del termine. Mentre molti credono che una diagnosi di dislessia possa far luce sulle difficoltà di apprendimento della lettura, ed aiutare ad identificare le migliori forme di intervento, Julian G. Elliott e Elena L. Grigorenko mostrano che in realtà una diagnosi di dislessia non aggiunge quasi nessuna informazione. In effetti la problematica interpretazione del termine 'dislessico' potrebbe rivelarsi un pessimo affare per molti bambini con difficoltà di apprendimento etichettati con una diagnosi. Questo libro delinea in dettaglio i diversi modi in cui problemi di lettura sono stati identificati, classificati e spiegati. Elliott e Grigorenko passano in rassegna le più recenti ricerche in scienze cognitive, genetica, e neuroscienze, e i limiti di questi campi in termini di azione professionale. Essi quindi forniscono un approccio più utile e scientificamente rigoroso per descrivere i vari tipi di difficoltà di lettura e discutono, in modo empiricamente fondato, le diverse possibilità di intervento.


Recensioni

«Nessun termine ha tanto impedito lo studio scientifico della lettura e la comprensione da parte dell'opinione pubblica delle difficoltà nella lettura. È da tempo necessario il pensionamento del termine. Elliott e Grigorenko forniscono una impressionante rassegna delle prove sul perché questo è il caso. Consiglio vivamente il libro agli insegnanti.»

Keith E. Stanovich, Università di Toronto
«Questo è un libro che stimola la riflessione, che analizza rigorosamente le prove scientifiche e che finisce sfidando molte ipotesi circa il concetto di dislessia. Elliott e Grigorenko non vogliono negare la realtà delle difficoltà di lettura dei bambini, ma mettono in dubbio l'utilità e la validità dei nostri costrutti diagnostici attuali. Lettura essenziale per chiunque sia interessato ai disturbi dello sviluppo neurologico.»
Dorothy Bishop, Università di Oxford

«Questo libro fornisce un'analisi completa e approfondita di tutti gli aspetti della dislessia. Il capitolo sulla valutazione e l'intervento è particolarmente importante per i genitori, gli educatori e i responsabili politici. Un tour de force!»
Gordon F. Sherman, Direttore esecutivo delle scuole The Newgrange e Laurel, Princeton

«Questo libro rappresenta un contributo significativo nel campo della soluzione di questioni fondamentali che stanno alla base della dislessia. Le conoscenze degli esperti sono illustrate su questioni relative alla valutazione e agli interventi. Particolarmente penetrante è l'esame che gli autori svolgono del ruolo della cognizione nei processi di classificazione e intervento. In generale il libro riesce ad affrontare efficacemente le diverse complessità legate al concetto di dislessia.»
H. Lee Swanson, University of California, Riverside

sabato, maggio 23, 2015

La tecnologia fa male ai bambini

Ormai gli studi sull'argomento si moltiplicano. Ad esempio bastano 5 giorni senza lo schermo di un computer per poterne misurare gli effetti nei bambini.
Una ricerca scientifica sperimentale dell'Università di California ha misurato gli effetti del togliere per appena 5 giorni ogni schermo dalla disponibilità di un gruppo di 51 bambini inviati in un centro didattico all'aperto, confrontandoli con un gruppo di controllo analogo per composizione che ha continuato la normale routine scolastica e casalinga. Risultati sorprendenti sulla loro capacità empatica.
Qui altre info al riguardo (sui danni provocati dal troppo tempo davanti ad uno schermo).
Oppure leggere qui dei danni provocati dalla cattiva abitudine di mettere i più piccoli davanti ad uno schermo.
Per non parlare del fatto che la TV cambia diversi ormoni nei bambini, per esempio la melatonina, forse collegata alla precocità nello sviluppo puberale. Si legga qui.
D'altra parte non era necessaria molta scienza per rendersi conto che per un bambino ogni minuto passato davanti al tablet, al TV, al PC, allo smartphone di mamma e papà, è un prezioso minuto sottratto al gioco, all'interazione con l'ambiente o con i propri simili, quindi un minuto sottratto per sempre all'apprendimento ed al positivo sviluppo di una mente in formazione.
_______
Addendum del 4 giugno 2016
Aggiungo questa ricerca sul calo delle competenze digitali negli adolescenti australiani.
_______
Addendum del 11 settembre 2016
Ormai sta diventando opinione comune, tanto che appaiono articoli divulgativi sul fatto che la tecnologia fa male all'apprendimento anche su importanti giornali come il Corriere. Un passo dell'articolo: "i tablet tradiscono la promessa originaria di livellamento verso l’alto di tutta la società, e al contrario tendono a perpetuare le differenze di classe. «Il tasso di equipaggiamento dei gadget elettronici è superiore presso i figli cresciuti in famiglia meno fortunate - dice Philippe Bihouix a Libération -. Usano gli smartphone prima, spesso hanno il computer e la tv in camera, mentre nelle famiglie più ricche i genitori limitano l’abuso degli schermi e ritardano l’arrivo del telefono cellulare..."
Escono inoltre libri vari sull'argomento. Oltre al libro sulla riforma digitale della scuola francese citato nell'articolo, che non mi risulta che sia già stato tradotto, in italiano, è uscito questo interessante libro, intitolato "Demenza digitale".
______
Addendum del 21 novembre 2016

Escono ormai numerosi articoli, anche sulla stampa mainstream, che parlano dei danni della tecnologia. 


mercoledì, maggio 20, 2015

IL MITO DELLA DISGRAFIA

La DISGRAFIA si può e si deve PREVENIRE.
Dopo l'interesse suscitato dal riuscito incontro con il pedagogista francese Frèdèric Rava sulla dislessia promosso dal gruppo di Modena del Movimento di Cooperazione Educativa, una nuova iniziativa questa volta sulla DISGRAFIA, sulla sua efficace prevenzione e sul suo recupero....
IL MITO DELLA DISGRAFIA: PREVENZIONE E RECUPERO DELLE DIFFICOLTÀ DI SCRITTURA A MANO - La mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza: essa è l’organo della mente - Maria Montessori in "La scoperta del bambino"
L'incontro promosso dal Comitato Genitori della scuola primaria Giovanni XXIII e dal gruppo di Modena del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), si svolgerà martedì 26 maggio presso i locali della scuola in via Amundsen 70 a Modena, dalle ore 17.45.
Alessandra Venturelli, pedagogista, grafoanalista e rieducatrice della scrittura, co-direttrice e docente del Master di 1° livello in consulente didattico e rieducatore della scrittura per la prevenzione ed il recupero delle difficoltà grafo-motorie (Università di Ferrara), presenterà la sua esperienza professionale basata su 15 anni di ricerca sperimentale sul campo di tipo pedagogico-didattico, in una preziosa occasione di confronto e riflessione.
L’incontro è aperto a tutti. INGRESSO LIBERO
Link all'evento presso il sito internet del MeMo Multicentro Educativo Modena Sergio Neri, che pubblicizza l'iniziativa.

In distribuzione un gadget plastificato ad offerta libera per recuperare costi organizzativi e aiutare la didattica della scuola. Una impugnatura che facilita la scrittura in fase di apprendimento.

domenica, maggio 17, 2015

DSA vuol dire disturbo mentale

DSA è l'acronimo di Disturbo Specifico dell'Apprendimento, codici che iniziano con F81 nella classificazione dell'ICD-10 dell'Organizzazione mondiale della sanità.

L'ICD-10 è la "Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati".

I DSA sono pure compresi nel DSM-V americano.

Il DSM-V è il "Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali" della American Psychiatric Association.

Prima che pensiate che stia dando del disturbato mentale a voi o a vostro figlio è meglio che scriva in bold che sospetto  fortemente che queste "malattie" in molti casi, (non in tutti) siano sovradiagnosticate.

Sovradiagnosticate nel senso che le difficoltà scolastiche ci sono eccome, ma non sono per forza di cose causate da un danno organico o da una predisposizione genetica. L'ipotesi della familiarità o della tara genetica è appunto solo una ipotesi, che passo dopo passo le ricerche dei neuroscienziati stanno in molti casi smontando, o riconducendo in alvei molto più limitati.

Non a caso queste "malattie" nella stragrande maggior parte dei casi non sono diagnosticate mediante analisi di laboratorio oggettive (analisi del sangue, analisi genetiche, ecc.), ma mediante test e prove di performance somministrate al bambino e successivo confronto dei risultati ottenuti con gli standard statistici definiti sulla popolazione "normale". Come appare ovvio, allo stesso test, alla stessa prova di performance, lo stesso bambino può rispondere in modi molto diversi a seconda di situazioni personali le più varie (preoccupazioni, stanchezza, paura, non conoscenza perfetta della lingua, svantaggi socio-culturali, ecc.).

Il forte sospetto è che i cosiddetti DSA siano per la stragrande maggioranza un problema pedagogico, un problema di apprendimento, di abitudini mentali acquisite individualmente o mediante imitazione di persone significative, di storia personale del bambino e delle sue interazioni con l'ambiente familiare e scolastico.

Infatti, come confermano gli stessi ricercatori che ricercano la causa organica, in determinate situazioni didattiche e/o ambientali il "disturbo" non si manifesta.

A parte quel che ne posso pensare io personalmente, mi sembra importante sottolineare come la storiella, spesso raccontata, del DSA quale bambino con un dono speciale, come qualcuno con una diversa modalità di pensiero e via indorando l'amara medicina, dovrebbe apparire molto sospetta, soprattutto se chi la racconta è uno strenuo difensore della sigla DSA (e magari ci guadagna sopra).

sabato, maggio 16, 2015

DSI

DSI - nuovo disegno di legge in parlamento: abbiamo notizia che presto verrà abolita la legge 170 del 2010 (che istituzionalizza i DSA) e sarà sostituita dalla legge 180° (gradi) che introdurrà per gli insegnanti la segnalazione per DSI = Disturbo Specifico dell'Insegnamento. :-)

venerdì, maggio 15, 2015

Medicalizzare

È senso comune, e politicamente corretto, dirsi contrari alla medicalizzazione di ambiti dell'esperienza umana che nulla hanno a che fare con le malattie organiche, come le differenze individuali, le preferenze in ambito sessuale, gli eventi naturali della vita, come la perdita di persone care o la nascita di una nuova vita.

Assistiamo però a questo curioso fenomeno: le stesse persone contrarie alla medicalizzazione difendono contraddittoriamente (alcune in buona fede, altre viziate da profondi conflitti di interessi) istituti come la legge 170/2010, legge che ha aperto le porte della scuola a diagnosi per certificare disturbi mentali, quali vengono considerati dal DSM V o dall'ICD-10 le difficoltà di apprendimento (il titolo dell'ICD-10, ricordiamolo, è "Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati"; il DSM V si intitola "Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali").

Vediamo cosa dice il vocabolario: medicaliżżare v. tr. [dal fr. médicaliser, der. di médical «medicale»]. – Attribuire carattere medico, far rientrare nella sfera della medicina eventi e manifestazioni ritenuti d’altra natura.

Oggi un bambino con difficoltà di apprendimento (che va male a scuola, si diceva una volta) ha ormai poche alternative. Ad un certo punto del suo percorso scolastico qualcuno, un insegnante o un adulto di riferimento, consiglierà alla famiglia di rivolgersi fuori della scuola, in ambito medico psichiatrico.

Cioè, il bimbo va male a scuola... Quindi vado dal dottore....

Questa prassi vi sembra ovvia? Chiedere a un medico di occuparsi di apprendimento? A me no, visto che non stiamo parlando di bambini con dei deficit organici, reduci da un'ischemia, un'operazione al cervello, o un qualche tipo di trauma cranico.

Si sta parlando di bambini normali, con normali capacità cognitive, ai quali dal momento dell'ingresso in questo girone infernale si applicheranno "logiche" completamente irragionevoli che tenteranno di imporre agli insegnanti, spesso riuscendoci, metodologie didattiche mai testate dalla comunità scientifica, come le misure dispensative e gli strumenti compensativi, ostacolando altri approcci didattici e spesso compromettendo l'apprendimento proprio nella fase della vita in cui il cervello è maggiormente plastico e orientato all'apprendimento.

La diagnosi di DSA, la medicalizzazione delle difficoltà scolastiche, sembra però accontentare tutti:
- in primis accontenta il business della certificazione, che arriva a costare centinaia di euro in alcuni studi privati accreditati,
- accontenta il business degli strumenti compensativi, sempre più tecnologici e costosi,
- accontenta il business della riabilitazione e del supporto scolastico a pagamento,
- accontenta i genitori giustamente in ansia per i propri figli, che deresponsabilizzati dell'etichettatura del figlio come bambino con DSA, tirano un sospiro di sollievo;
- accontenta i genitori distratti, che possono cosi occuparsi dei suoi bisogni educativi fornendo cose (computer, tablet, audiolibri) invece che tempo e attenzione,
- accontenta i genitori combattivi, alle prese con insegnanti dai quali giustamente a volte occorre difendersi, fornendo strumenti di difesa e di offesa verso docenti più o meno capaci,
- e soprattutto, non dimentichiamolo, accontenta i docenti peggiori, ai quali con la legge sui DSA è stato fornito un alibi inattaccabile per giustificate la loro impreparazione didattica e i loro fallimenti professionali.

Gli unico che non accontenta sono i bambini, che vivono sulla loro pelle l'essere trattati come diversi, disturbati, malati.

lunedì, maggio 11, 2015

Conferenza di Frèderic Rava

«Il prossimo 12 maggio si terrà a Modena una importante conferenza con un pedagogista francese che ci spiegherà il  perché della sua affermazione: “In pedagogia della Gestione Mentale la dislessia non esiste”. Si badi, la dislessia, non le difficoltà di apprendimento della lettura, che invece di essere "compensate" e "dispensate" devono essere gestite e affrontate.

Infatti nelle difficoltà di lettura, scrittura e calcolo, affrontate con la Pedagogia della Gestione Mentale (del filosofo-pedagogo A. de La Garanderie) ciò che per l’approccio psicologico sarebbe un disturbo, per la Pedagogia Gestione Mentale è un profilo pedagogico personale di apprendimento. Un profilo pedagogico comprensibile solo alla luce del processo di insegnamento-apprendimento che ha caratterizzato la biografia educativa del soggetto che apprende, e quindi le abitudini evocative utilizzate fin dai primi anni di vita. In quest’ottica la difficoltà di lettura è dunque affrontabile con un "progetto di senso" capace di far emergere le "abitudini evocative" da comprendere, rispettare, valorizzare e potenziare per arrivare ad una fluente lettura e scrittura.

La pedagogia della gestione mentale non è più l’unica voce, ora anche altre voci si levano sempre più forti contro quello che appare sempre più un business internazionale, dell’industria mondiale della medicalizzazione.

Tra le importanti critiche alla logica del disturbo presenteremo anche quella di due importanti professori  delle università di Duhram e Yale contenuta nel libro "The Dyslexia Debate", dove si afferma che il termine dislessia va abbandonato perché  portatore della logica iatrogena della dispensa, che impedisce ai bambini  di recuperare le difficoltà di lettura e scrittura.

Di tutto questo parleremo e dibatteremo il 12 Maggio al MeMo di Modena.»

Ermanno Tarracchini

domenica, maggio 10, 2015

Non sequitur...

Mi ha scritto Xyz, una mamma di bambini con diagnosi di DSA. Questo lo scambio che abbiamo avuto.

Cara Xyz, mi hai scritto:

«Non credo che il corsivo [sia] cosi determinante nelle " cause" dei DSA , come la manualità , non lo metto in dubbio che si possa far rifiorire un Dsa e delle volte basta meno di quello che si pensa , ma negarne l'esistenza é come dire che é un problema che non esiste e presuppone che la scuola sia pronta per gestirlo senza diagnosi.....ma dove?»

(grassetto aggiunto da me)

Io so Xyz che sei una mamma forte e determinata, che si spende gratuitamente per gli altri. Abbiamo tanto discusso, per iscritto e di persona, e su molte cose siamo d'accordo. Per esempio siamo d'accordo che:

1) le difficoltà scolastiche, quale che sia l'origine, la scuola le dovrebbe gestire molto diversamente e meglio di come fa ora (classi più piccole, formazione dei docenti, didattica inclusiva, ecc.),
2) i docenti a volte sono pericolosi per i nostri figli (lavativi, frustrati, sadici, ecc.),
3) i genitori a volte sono pericolosi per i propri figli (iperprotettivi, immaturi, infelici, ecc.),

Poi abbiamo forti divergenze su questioni opinabili: io per esempio do un giudizio fortemente critico sulla legge 170 del 2010, che mi sembra, dal mio punto di vista di insegnante, amplifichi il disastro in atto invece di aiutare a contenerlo.

Vorrei però soffermarmi sui  due punti cruciali del tuo messaggio:

1) il corsivo non è poi così importante,
2) i DSA non è vero che non sono di origine organica e/o genetica.

Come scrivo da tempo, ho una "opinione" articolata sia sull'uso del corsivo in fase di apprendimento, sia sull'origine organica e/o genetica dei cosiddetti DSA. Queste mie convinzioni non sono "opinioni" personali immodificabili, ma derivano dai numerosi articoli scientifici che ho letto e, in quanto si tratta di scienza e non di opinioni, sono dispostissimo a cambiare idea.

Per il corsivo ad esempio è sufficiente che chiunque mi faccia leggere un solo articolo scientifico (con dei numeri e della statistica, non con delle ipotesi) che dimostri che due gruppi di bambini ai quali è stato insegnato il corsivo da una parte e lo stampatello maiuscolo dall'altra, hanno poi prestazioni scolastiche equivalenti (o difformi in modo non statisticamente significativo, per essere esatti). Ho invece trovato numerosi recenti articoli scientifici che dove al contrario sono descritte prestazioni maggiori per i bambini ai quali viene insegnato solo il corsivo (in particolare uno studio canadese su oltre 700 bambini). Uno studio del genere in Italia sarebbe auspicabile.

Sulle cause delle difficoltà di apprendimento è pure meno importante chi abbia ragione. Se, come portano a pensare le recenti indagini delle neuroscienze, il problema non dipende da aspetti fisiologici o genetici, la cosa migliore sarebbe abbandonare il termine "disturbo" e la medicalizzazione conseguente, concentrando ogni sforzo sul miglioramento della didattica. Se invece venisse confermata una predisposizione genetica, una familiarità che predisponesse all'insorgenza delle difficoltà di apprendimento, la cosa migliore sarebbe pure abbandonate la medicalizzazione sulla base dello stesso buon senso che fa scrivere ai ricercatori che sostengono l'ipotesi genetica che "in particolari condizioni didattiche la difficoltà non si manifesta". Tutti gli sforzi anche in questo caso andrebbero concentrati sul miglioramento della didattica, diffondendo le buone pratiche come Montessori e De La Garanderie.  Su questo so che siamo d'accordo.

Ma la cosa che mi lascia di stucco, cara Xyz, è l'illogicità apparente del tuo ragionamento: mi scrivi, parafrasando il tuo messaggio, che negare che i DSA siano disturbi (cioè "tare" mentali), significa negare conseguentemente che questi bambini abbiamo delle difficoltà. Questo è un non sequitur clamoroso.

E non deriva dal fatto che ci siamo espressi male, né tu né io. Ne sono certo perché è una costante, è una obiezione che mi è già stata fatta, magari dopo aver appena detto che le difficoltà vanno gestite e trattate per non aggravare la situazione.... Ma l'interlocutore non sta ascoltando, altrimenti non sarebbero possibili repliche così illogiche!

Deve esserci qualcos'altro...

La mia ipotesi è che appena viene prospettata l'idea che i DSA non siano di origine organica e/o genetica, l'interlocutore smetta di ascoltare con la ragione e vengano attivati forti meccanismi emozionali. La rabbia (di cui tu spesso mi hai parlato), la frustrazione, l'allarme, prendono il sopravvento.

Mi sembra che anche solo ipotizzare che i DSA non siano una malattia produca:

1) una minaccia all'identità (se il DSA non esiste, un pezzo della mia identità o di quella di mio figlio viene messo in dubbio,
2) ansia per la possibile perdita dell'unico aiuto relativo alle difficoltà scolastiche che mi è stato offerto da una scuola impreparata (se i DSA non esistono non ho diritto ad essere aiutato io come genitore o come affetto da DSA - e tutto ricade sulle mie spalle. Devo fare da solo, mio figlio deve fare da solo.)

Riflettici Xyz. E fammi sapere che ne pensi.

Con cordialità,
Stefano Longagnani

venerdì, aprile 17, 2015

Risposta ad Adriana Querzè

Gent.ma Adriana Querzè,
la ringrazio del suo lungo commento al mio post su Facebook. La sua autorevolezza in materia e il suo curriculum professionale (insegnante poi dirigente scolastico) e politico (ex assessore all'istruzione del comune di Modena) mi spinge mio malgrado ad addentrarmi in un campo che non è il mio. Io sono solo un ingegnere, amante della tecnologia fin dall'adolescenza, che ha deciso nel 2002 di fare con passione l'insegnante di informatica e di matematica. Non ho competenze specifiche in materia se non il saper leggere l'inglese nel quale sono scritti la maggior parte degli articoli scientifici che ho posto all'attenzione dei miei "amici" su Facebook con il mio post.

Mi sono addentrato nell'argomento (apprendimento della letto-scrittura e difficoltà specifiche collegate) solo dallo scorso anno, da quando cioè mio figlio Leo ha iniziato a frequentare la prima classe elementare. Lo ha fatto con profitto, senza problemi di sorta nell'apprendimento, ma da subito mi sono reso conto di quanto fosse cambiato l'insegnamento della letto-scrittura dai "miei tempi".

A scuola dove insegno anno dopo anno aumentano gli studenti con problemi specifici di apprendimento della lettura e della scrittura (dislessia e disgrafia), e i colleghi con più esperienza d'insegnamento fin dal 2002 mi hanno messo in guardia dai cambiamenti avvenuti nella popolazione scolastica negli ultimi decenni. Si trattava certo solo di "impressioni", e come tali le ho considerate appunto fino a quando, spinto dalla curiosità, non ho approfondito andando alla ricerca dello stato dell'arte in campo scientifico.

Cercando su internet, mesi fa, ho trovato per prima cosa una dettagliata esposizione di quanto da lei brevemente esposto. Si trattava di uno psichiatra che sulla base del buon senso, della logica e del ragionamento, come ha fatto lei nel suo commento, consigliava di partire in prima elementare con l'insegnamento dello stampato maiuscolo, e poi di proseguire, se il bambino era disponibile, con il corsivo; questo avrebbe facilitato l'apprendimento della letto-scrittura, proprio per il più facile collegamento tra fonema e grafema, visivamente staccato nel caso dello stampatello maiucolo. Data la mia formazione da ingegnere, amante dei numeri e dei fatti, ho subito notato che non veniva riportato nessun dato o studio a supporto. E così sono andato a cercare se ci fossero studi scientifici a supporto o detrimento del suddetto elegante ragionamento.

Li ho trovati, e invito a leggerli, a studiarli, perché l'argomento, come giustamente mi conferma, non è affatto semplice.

In primo luogo le ricerche più recenti dei neuroscienziati hanno evidenziato in modo inequivocabile che le abilità fino-motorie (le abilità della mano con il pollice opponibile che ci rendono tando diversi dagli altri animali) sono importantissime per l'apprendimento in generale (l'articolo divulgativo del Wall Street Journal How Handwriting Trains the Brain cita appunti queste ricerche delle neuroscienze, pubblicate da un team dell'Indiana University nel 2010 e da Virginia Berninger, prof.ssa di psicologia dell'educatione all'Università di Washington). Altri articoli che ho trovato in rete riportano addirittura forti correlazioni tra le abilità fino-motorie nell'infanzia e le performance scolatiche nella scuola superiore. E diversi altri studi che ho citato collegano la scrittura manuale con l'apprendimento della lettura, per via dell'apprendimento cinestesico e dell'esperienza motoria e tattile che rinforza il collegamento tra grafema e fonema.

Su questo punto siamo pienamente d'accordo, penso, anche se nel suo commento lei non spiega con cosa sostituire l'allenamento che il corsivo procura alle abilità fino-motorie durante tutto l'arco della scuola dell'obbligo.

Ma non è questo il punto. Io stesso ho passato gran parte delle elementari a fare lavori manuali, come usare le forbici, incollare, piegare, utilizzare il seghetto da traforo, incidere il linoleum per preparare disegni da stampare con la pressa, battere basette di rame per creare bassorilievi, modellare la creta, la cartapesta, la plastilina, fare nodi con la corda, dipingere fogli, tele e piastrelle, ecc. Ho constato, seguendo le attività di mio figlio e di diversi suoi amichetti, che solo poche scuole primarie continuano a proporre tali attività in quantità utile per allenare e sviluppare davvero le abilità fino-motorie, e questo, visto le scoperte dei neuroscienziati, è sicuramente un male (mio figlio ha passato la prima classe elementare senza mai tracciare una sola linea orizzontale... solo schede da incollare, compilare, colorare...).

Dopo aver scoperto quanto sopra ho continuato la mia ricerca, focalizzandomi sullo stile di scrittura, avendo notato personalmente, come molti miei colleghi insegnanti delle superiori potranno confermarle, che gli studenti con i voti più alti erano spesso, non sempre certo, tra coloro che scrivevano e prendevano appunti in corsivo.

Si tratta solo di una osservazione estemporanea, non di un dato scientifico, e come tale la devo riportare.

Durante la mia ricerca mi sono però imbattuto in un paio di articoli abbastanza netti, che a loro volta citano parecchi altri studi scientifici (che non ho letto) che però supportano fortemente le loro conclusioni. Il primo di questi è uno studio canadese su oltre 700 bambini di seconda classe divisi in tre gruppi: un primo gruppo al quale è stato insegnato solo lo stampatello, un secondo gruppo al quale è stato insegnato prima lo stampatello poi il corsivo (come è stato fatto con mio figlio e come i miei studenti confermano esser stato fatto con loro), un terzo gruppo al quale è stato insegnato solo il corsivo (come è stato fatto con me e generalemente con le persone della mia generazione). Inutile riportare le conclusioni, che immaginerà. L'utilizzo del corsivo esce rafforzato nei risultati di questi bambini in diversi indicatori.

Il secondo articolo è uno studio comparato della letteratura sull'argomento (corsivo vs stampatello), intitolato significativamente Teaching Cursive Handwriting First Leads to Fluency in Reading and Writing, scritto da Elizabeth Seton, della Loyola University Maryland, Advanced Studies in Education. L'importanza di questo articolo è per me nelle citazioni di altri articoli (che spesso non posso leggere perché a pagamento). In modo prudente e serio, supportando i propri argomenti con articoli scientifici di neuroscienziati o studi sulle performance su diversi indicatori del processo di letto-scrittura, l'autrice spiega le particolarità del corsivo, la sua unicità rispetto allo stampatello, e come le sue caratteristiche lo rendano più efficace didatticamente nel processo di appredimento della letto-scrittura, come provano diverse ricerche recenti di vario orientamento.

Tra le altre cose l'articolo spiega che "una recente meta-analisi su oltre 1000 bambini con problemi di dislessia e disgrafia, illustra e chiarisce l'effettivo ruolo delle istruzioni multisensoriali naturalmente presenti nella scrittura in corsivo (Montgomery, 2012)." Questo mi fa capire il perché diversi centri di riabilitazione per la dislessia utilizzino con successo il corsivo (si veda qui), e perché le scuole inglesi e americane stiano ritornando in massa al corsivo, per esempio utilizzando un script legato (si veda ad esempio qui).Come pure mi fa capire perché, in tutte le lingue e in tutti gli alfabeti, il corsivo l'abbia fatta per secoli da padrone.

Non bisogna poi dimenticare (ma questo non c'entra con il corsivo se non lateralmente) che la scientificità del concetto di dislessia in quanto "disturbo" di origine organica è stato messo in dubbio autorevolmente da più parti, per esempio dal libro pubblicato dalla Cambridge University Press "The Dyslexia Debate".

Infine, non ho trovato, pur cercandolo da mesi, un solo articolo scientificamente fondato (con dei numeri, insomma) che sancisca la parità tra corsivo e stampatello (o la superiorità dello stampatello). In rete ho trovato solo "buon senso" da parte di autorevoli personaggi in evidente conflitto di interesse, come questo, che tutta la recente letturatura, anche solo quella sulle abilità fino-motorie e sulla scrittura manuale confrontata con la digitazione a computer, contraddice.

giovedì, aprile 16, 2015

Ritorno al... corsivo!

In USA, Gran Bretagna e Canada torna il corsivo dopo molti decenni di stampatello. E torna sulla base del fatto che le ricerche scientifiche più recenti mostrano ad esempio come per affrontare efficacemente la dislessia il corsivo sia parecchio utile.
Per esempio il corsivo serve:
- ad evitare le inversioni delle lettere mentre si scrive,
- a leggere senza scambiare p d b q,
- a memorizzare nella memoria muscolare il collegamento grafema-fonema (la memoria muscolare del grafema, insieme al riconoscimento visivo della forma del grafema, è invariante dal punto di vista culturale ed è un meccanismo di base e universale della lettura, come dimostra la ricerca citata qui di seguito),
- a spaziare correttamente parole e lettere,
- a stimolare la motricità fine, importantissima per l'apprendimento,
- a scrivere più velocemente catturando il proprio pensiero senza perdita di leggibilità,
- a collegare tra loro in modo multisensoriale scrittura, ortografia e lettura (anche perché i programmi di trattamento della dislessia che si focalizzano sulla lettura funziona peggio, dati alla mano, di quelli centrati sulla scrittura),
- a sviluppare uno stile personale che gratifica il bambino.
All'Università di Middlesex, in Essex, scrivono che il loro attuale problema sono le maestre, che fanno resistenza al cambiamento dopo decenni di stampatello (qui da noi si direbbe: «A sé seimper fat acsè!»)
Qui un denso articolo da parte della Middlesex University, London and Learning Difficulties Research Project, in  Essex (in PDF): The Contribution of Handwriting and Spelling Remediation to Overcoming Dyslexia
I seguenti articoli possono servire per approfondire:
- articolo della Dott.ssa  Sharon Dubble, direttrice della Elizabeth Seton Loyola University nel Maryland, Advanced Studies in Education; l'articolo si intitola Teaching Cursive Handwriting First Leads to Fluency in Reading and Writing. Qui il PDF.
articolo scientifico canadese su oltre 700 bambini, divisi in tre gruppi. Un gruppo al quale hanno insegnato a scrivere solo in stampatello, uno al quale hanno insegnato a scrivere solo in corsivo, il terzo al quale (come spesso accade in Italia) hanno insegnato a scrivere prima in stampatello poi in corsivo. I risultati peggiori li ottiene il gruppo "stampato poi corsivo". I migliori il gruppo "solo corsivo". Per approfondire leggere direttamente l'articolo qui: "The Effects of Manuscript, Cursive or Manuscript/Cursive Styles on Writing Development in Grade 2"
- articolo canadese del dicembre 2012 sulla scelta tra corsivo e stampatello (rassegna della letteratura scientifica sull'argomento); disponibile solo l'abstract; l'acquisto costa 30 euro; la rivista è di ambito Occupational therapy: Which to Choose: Manuscript or Cursive Handwriting? A Review of the Literature
- video esercizi per potenziare la motricità fine, dal sito www.puntografologia.it
- articolo sull'invarianza dei meccanismi cerebrali di lettura al variare della cultura. Analizzato il cinese (ideogrammi) e il francese (corsivo). Si intitola Universal brain systems for recognizing word shapes and handwriting gestures during reading
- insegnamento della scrittura a mano negli USA; articolo di Wikipedia in inglese che illustra la storia dell'insegnamento del corsivo negli Stati Uniti. Nel paragrafo "Current events" viene brevemente raccontata la reintroduzione del corsivo nelle scuole statunitensi.
E noi in Italia che facciamo? Aspettiamo che le maestre che insegnavano il corsivo dal primo giorno di scuola siano tutte in pensione, o facciamo qualcosa prima?

In evidenza

Elenco di articoli sul corsivo

Questo elenco di articoli è per colpa mia un guazzabuglio poco ordinato. Sono presenti sia articoli divulgativi di testate giornalistiche...